(...) Allora, l'anno prossimo tutti a Verona: non succedeva da diciotto anni d'emigrare ('89, Firenze).
«Sono sincero: non c'è nero su bianco. Milano potrebbe ancora riprendersi la tappa finale del Giro. Ma i margini sono esigui. I problemi sono enormi, e non nascono oggi».
Dica la verità, senza tanta filosofia: ve ne andate per soldi.
«Se fosse per questo, a Milano non saremmo mai venuti. In tutti questi anni Milano non ha versato un euro per avere il Giro. Unica città delle ventuno che ospitano gli arrivi. In genere, i comitati locali versano intorno ai centotrentamila euro. Milano ha soltanto preso: tasse pubblicitarie, tasse per l'occupazione del suolo pubblico, più la litania dei mugugni... ».
Tanti milanesi non sopportano la chiusura del traffico.
«Vai a capire. Ci sono città come New York e Londra che per la propria maratona sono felici di fermarsi intere giornate. Noi blocchiamo una parte del centro dalle due alle cinque di una domenica, a fine maggio, quando la città è già semideserta. Il problema non sono i disagi. C'è dell'altro... ».
Già che ci siamo, diciamola tutta.
«Diciamola tutta. In una qualsiasi città, il Giro può essere supportato o sopportato. A Milano, ormai, è sopportato».
Perché mai?
«Milano ha un legame sempre più difficile con il grande sport. Calcio a parte, ovviamente. Basti vedere i problemi della maratona, del basket, i nostri. C'è un palazzetto crollato nel 1985: ancora dobbiamo rifarlo. Quanto al Vigorelli, lasciamo stare».
Che idee avevate per il finale del Giro a Milano?
«Per noi l'ultima tappa non deve più essere una formalità, con i ciclisti che brindano in corsa e si fanno i gavettoni. Non mi pare che succeda questo negli ultimi cinque minuti di una finale mondiale, neppure sul 3-0. Vogliamo una grande conclusione. Serve spettacolo. Appunto, come una cronometro decisiva: a Verona, che ha già ospitato due mondiali, pensano a un bellissimo tragitto dal lago di Garda (Bardolino) fin dentro l'Arena. La verità è che ci sono città italiane entusiaste di sfruttare un momento del genere. È questione di anima, di cultura, di mentalità. Milano non è più tra queste».
Ma ci avete almeno provato?
«Da anni proponiamo agli amministratori di sfruttare questa giornata, non solo come evento sportivo. Il Comune combatte la famosa battaglia ecologica: noi pensavamo all'arrivo del Giro come a una giornata nazionale della bicicletta, magari con una chiusura del traffico tipo quelle invernali, magari con una grande biciclettata per le famiglie, così da richiamare poi tutti al passaggio della maglia rosa. Ci puoi aggiungere tutto quello che vuoi: mostre, spettacoli, gastronomia. Purtroppo, mentre noi parlavamo di questo, l'ultima volta al Comune interessava solo una cosa: che passassimo davanti alla nuova Fiera, per farla vedere in televisione».
Quanta passione...
«Non so che dire. Basti ricordare che alle ultime edizioni, con duecentomila persone a festeggiare i girini, il sindaco non s'è mai presentato. E sa quanti bar erano aperti, lungo il traguardo di corso Venezia, per duecentomila persone accaldate? Due. Se non interessa neppure ai commercianti... ».
Non teme che emigrando si perda per strada il senso del rito? Il Tour va in capo al mondo, ma l'appuntamento finale a Parigi non lo sposterebbero neppure con le bombe...
«Parigi è una capitale. Parigi ha il teatro dei Campi Elisi. Parigi sfrutta le strutture montate per la parata del 14 luglio, festa nazionale. Milano non è capitale, Milano non ha i Campi Elisi, Milano non ha un 14 luglio. Non esiste questo rito intoccabile, da noi. Meglio andare in città che ti aspettano a braccia aperte».
E che pagano: Verona mette in campo i re del gelato e dei tortellini, Sanson e Rana.
«È bello il coinvolgimento dell'ente pubblico e del tessuto economico locale. Tutta una comunità sente l'evento.
Allora addio?
«In teoria, Milano sarebbe ancora in tempo a tenersi il Giro. Ma la vedo difficile. Se deve sopportarci, le evitiamo il fastidio».
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