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Il giudice anti crocifisso? Ha il permesso di non lavorare

Il giudice anti crocifisso? Ha il permesso di non lavorare

MilanoQuando decise di andare alla guerra, ormai sei anni fa, Luigi Tosti da Camerino lo fece misurando le parole. «Serve una derattizzazione generalizzata di tutte le aule dai simboli religiosi». Il crocifisso nei tribunali? «Un residuato fossile della dittatura fascista». L’aula senza simboli religiosi allestita apposta per lui? «Un’intollerabile ghettizzazione» e «una forma di segregazione». E avanti a spada tratta. Ieri, la guerra, Luigi Tosti l’ha vinta. La sua crociata contro il simbolo del cristianesimo nei palazzi di giustizia è arrivata alla fine. La Cassazione, infatti, ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila, che nel maggio del 2007 aveva condannato il giudice a 7 mesi di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici per essersi rifiutato di celebrare le udienze proprio a causa della presenza del crocifisso nelle aule del tribunale di Camerino. «Il fatto non sussiste».
I giudici della sesta sezione penale della suprema Corte - gli stessi davanti ai quali Tosti diceva di non volersi presentare perché «partigiani che si identificano platealmente nei crocifissi appesi sopra la loro testa» - gli hanno dato ragione. Anzi, sono andati anche oltre le richieste del sostituto procuratore generale Vincenzo Geraci, che aveva sollecitato l’annullamento della condanna ma ne aveva chiesto il rinvio per un nuovo processo d’appello, convinto che occorresse riformulare il reato a carico del magistrato. Per Geraci - dato che le udienze si erano tenute lo stesso nonostante lo «sciopero» di Tosti, attraverso la nomina di un sostituto - si sarebbe dovuto contestare non un’omissione d’atti d’ufficio, ma un turbamento dell’attività giudiziaria. Niente di tutto questo.
Tosti, dunque, incassa. E rilancia. «La sentenza della Corte di cassazione è un passo importante, ora abbiamo eliminato l’aspetto penalistico, aspettiamo quindi il procedimento disciplinare in corso su di me e se tornerò in aula a fare il giudice è ovvio che continuerò la mia battaglia. O me o i crocifissi in aula». Sul giudice di Camerino, infatti, pende ancora un procedimento disciplinare del Csm, che lo ha sospeso dalle funzioni e dallo stipendio per il «grave disservizio» arrecato al funzionamento della giustizia. Era quella che Tosti aveva definito «una procedura persecutoria», un provvedimento «di quelli che vengono adottati per ristabilire il cosiddetto prestigio della magistratura».
Ora, avanti con la stessa crociata anticonfessionale. Per il «rispetto del principio di laicità - insiste Tosti - che in Italia è violato soltanto dalla religione cattolica». Anche per questo, il giudice si era spinto fino a offrire un «compromesso» allo Stato. Lui, di religione ebraica, quattro anni fa aveva messo sul piatto il suo aut-aut. «Continuerò ad astenermi dalle udienze se nelle aule del Tribunale ci sarà il crocifisso. In via provvisoria potrei tornare al lavoro solo se insieme al crocifisso sarà esposto anche il mio simbolo (la menorah, il candelabro a sette bracci, ndr). In caso contrario mi sento discriminato».
Così «discriminato» che, all’inizio dell’udienza, aveva chiesto ancora una volta di rimuovere il simbolo religioso dall’aula e i giudici non hanno accolto l’istanza. Tanto «ghettizzato» che rischiava un nuovo rinvio e un altro processo, e invece è tornato a casa con un’assoluzione con formula piena.

Proprio sotto quel crocifisso contro il quale, sei anni fa, aveva deciso di andare alla guerra.

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