Il giudice si fa la sua legge. Come nel Far West

Autorizzando una coppia fertile a violare le norme sulla fecondazione assistita il tribunale di Salerno rompe gli argini Un abuso giuridico contro il quale dovrebbero intervenire il capo dello Stato e il Csm. E invece regna il silenzio

Presso ogni facoltà di Giurisprudenza si insegna che di ogni norma di legge è possibile fornire una interpretazione evolutiva, vale a dire collegata strettamente alle mutevoli esigenze della società; ma si insegna anche che in nessun caso un tribunale può utilizzare alla base di una propria decisione una interpretazione che sia «contro» la legge, addirittura consentendo che si violi una precisa disposizione della stessa.
Eppure è ciò che è accaduto a Salerno, il cui tribunale ha autorizzato una coppia perfettamente in grado di procreare ad accedere a tecniche di selezione embrionale allo scopo di evitare di impiantare un embrione potenzialmente esposto ad ammalarsi di una grave patologia di cui uno dei genitori è portatore.
Così stabilendo, il tribunale ha violato la legge 40 del 2004 che disciplina tali fattispecie, in due direzioni. Da un primo punto di vista, la decisione del tribunale si pone in aperto ed indiscusso contrasto con l’articolo 4 della legge, che espressamente limita il ricorso alla procreazione assistita al caso in cui una coppia sia sterile o comunque non in grado di procreare fisiologicamente.
Violando questi precisi limiti di applicabilità, il tribunale si è in sostanza sovrapposto al legislatore, demolendo gli argini che questo aveva inteso frapporre ad un uso indiscriminato delle tecniche di procreazione.
E dal momento che, sostituendosi al legislatore, il tribunale ha con tutta evidenza violato il principio della divisione dei poteri (arrogandosi un potere che non possiede), esso incorre in una responsabilità di carattere morale, deontologico e politico.
Morale, in quanto non si vede come possa ispirarsi ad un’etica pubblica oggettiva una decisione che non spetta all’organo che l’abbia adottata, ma ad un altro, nella specie il Parlamento.
Deontologico, in quanto tale decisione viola in modo palese la soggezione che ogni giudice deve mantenere nei confronti della legge (fra l’altro è la stessa Costituzione che lo prevede), facendo invece sì che il giudice si ponga al di sopra di essa, quale arbitro assoluto della sua applicazione o disapplicazione.
Politico, in quanto il tribunale si è spinto a determinare il contenuto della legge in modo difforme e contrario alle previsioni della stessa, autoconferendosi la sovranità popolare necessaria allo scopo e della quale invece esso è manifestamente privo.
Da un secondo punto di vista, la decisione si pone in aperto ed indiscusso contrasto con l’articolo 13 della legge, il quale espressamente vieta «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti», punendo la eventuale violazione con la reclusione da due a sei anni e la multa da 50mila a 150mila euro, oltre l’aggravante prevista per il caso specifico.
Dal momento che, con questa decisione, il tribunale, autorizzando la selezione embrionale nel caso concreto, ha rimosso il divieto della legge penalmente sanzionato, esso incorre in una responsabilità di carattere sociale, istituzionale e giuridico.
Sociale, in quanto tale decisione induce a credere che il tribunale sia legittimato a fare ciò che ha fatto, mentre è vero esattamente l’opposto: si inaugura così una perversa dinamica sociale, secondo la quale chi può fare fa, anche al di fuori e contro ogni regola.
Istituzionale, in quanto con tale decisione il tribunale autorizza a ciò che non può mai autorizzare, scardinando il corretto rapportarsi istituzionale degli organi dello Stato.
Giuridico, in quanto con tale decisione il Tribunale introduce una scriminante in un caso non previsto dal codice penale e, nello stesso tempo, induce altri a commettere un reato (quello previsto dall’articolo 13).
Ne viene che, per tutti i motivi esposti, la decisione del tribunale è del tutto nulla, perfino «inesistente» e perciò non produttiva di effetti: ciò non toglie che sia grave.


Si attende dunque con fiducia l’intervento del capo dello Stato, nella sua doppia veste di garante della Costituzione e di presidente del Consiglio superiore della magistratura; del Csm medesimo, quale organismo di autogoverno della magistratura; della Associazione nazionale Magistrati, quale depositaria della vigilanza sulla correttezza istituzionale del loro operato; di tutta la stampa di sinistra, quale custode ufficiale della legalità repubblicana; di tutti coloro che invocano ogni giorno il rispetto della Costituzione.
Speriamo tutti costoro facciano presto e si facciano sentire: per adesso, di assordante c’è soltanto il loro silenzio.

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