Il giudice spalanca la cella al boss: «È depresso»

Il giudice spalanca la cella al boss: «È depresso»

CataniaIl boss è depresso e allora lascia il regime del 41 bis, il carcere duro riservato ai mafiosi, per finire ai domiciliari. A decidere gli arresti in casa per “Nuccio” Ieni, al secolo Giacomo, capomafia della cosca Pillera di Catania, è stato il presidente della terza sezione penale del Tribunale etneo. Il giudice Filippo Milazzo, coadiuvato nel suo lavoro dai suoi colleghi Riccardo Pivetti e Cinzia Sgrò, lunedì ha firmato l'ordinanza di trasferimento per «gravi motivi di salute», ritenendo che l'«ambiente familiare appare allo stato insostituibile» e che l'affetto dei suoi casi sarà per lui la terapia migliore per riprendersi e guarire. A insorgere è stata per prima la procura di Catania, ma anche dal mondo politico è arrivata una forte condanna. Anche perché l'iniziativa del giudice Milazzo contrasta fortemente con uno studio che il Dap (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) ha redatto nel 2006, secondo cui il 10 per cento della popolazione carceraria accusa disturbi legati alla depressione. In quell'occasione per un anno e mezzo fu censito il popolo che dietro le sbarre carcere, e su circa 140mila detenuti, quelli depressi risultarono oltre14mila.
Nuccio Ieni, sino a lunedì, di carcere aveva fatto appena tre anni. Viene arrestato nel giugno del 2006 con l'accusa di associazione mafiosa perché ritenuto uno delle colonne portanti del clan Pillera. Pochi mesi dopo inizia a manifestare i primi sintomi di disagio, «segni - come scrive il giudice - che andavano al di là della comune sofferenza legata alla privazione della libertà... Anzi emerge uno stato depressivo che tende a cronicizzarsi». Sottoposto a perizie di parte e dopo una serie di pareri medici che esprimono una condizione di incompatibilità col regime carcerario viene accertato il suo stato «melanconico». E così cambia diverse strutture mediche carcerarie per finire a Parma, non prima di avere tentato il suicidio e dopo un vistoso dimagrimento (ha perso 20 chili). Il mese scorso il colpo di scena durante un'udienza del processo stralcio Atlantide, nome dell'operazione della Squadra mobile durante la quale venne arrestato perché accusato tra l'altro di riciclaggio: collegato in videoconferenza da Parma Ieni scoppia in lacrime davanti ai giudici ai quali dice di «essere fortemente depresso e di non riuscire a stare in carcere». L’avvocato di Ieni, Giuseppe Lipera, presenta una corposa documentazione redatta dal figlio Marco Lipera che nella vita fa lo psicologo e chiede la scarcerazione, in subordine i domiciliari. Arriva la decisione del giudice Milazzo che l'avvocato Lipera, commenta così: «Al di là di ogni ragionevole dubbio i giudici hanno fatto buon uso delle norme processuali. Per ultimo abbiamo prodotto il diario clinico e la consulenza psico-forense redatta dal dottor Marco Lipera». Ovvero suo figlio.
La notizia del ritorno a Catania di Nuccio Ieni, anche se ai domiciliari in casa sua, fa indignare il procuratore Vincenzo D'Agata che teme un nuovo coinvolgimento attivo del boss nell'organizzazione criminale: «Sono sorpreso e sgomento sia per la pericolosità sociale del soggetto che torna a Catania, sia perché non c'è una perizia che stabilisce con certezza che il suo stato di salute è incompatibile con la detenzione in un centro medico».


Il presidente della commissione Affari costituzionali e componente della commissione antimafia Carlo Vizzini parla di decisione «scandalosa» ritenendola «lesiva per la credibilità dello Stato». Sulla vicenda interviene anche il presidente del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, ritenendo che «la decisione che ci indigna, crea un pericolosissimo precedente e mina fortemente la credibilità delle istituzioni».

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