La formula magica è «perequazione automatica delle retribuzioni»; e, come ogni frase miracolosa che si rispetti, anche questa dà risultati eccezionali, meravigliosi. In questo caso, aumenti da favola nelle buste paga dei giudici. Perché gli stipendi degli italiani sono fermi, ma non i loro. Crescono, si dilatano, migliorano, e però adesso gli unici lavoratori che hanno più soldi sono pronti a scendere in piazza.
Possibile? Possibile. Sul cedolino dello stipendio di gennaio 2006 di un procuratore troviamo, alla voce «Imponibile al lordo delle ritenute previdenziali», la cifra di 11.918 euro. Al 1° gennaio di quest’anno la stessa voce sullo stesso cedolino recita 13.324 euro. Calcolatrice alla mano, fa un aumento di 1.406 euro.
In due anni lo stipendio mensile di un qualsiasi procuratore è aumentato del corrispettivo dello stipendio di un operaio: effetti della perequazione. Effetti che però solo sul lungo termine mostrano tutta la loro potenza: andiamo ancora qualche anno indietro, precisamente a gennaio del 2003. Il cedolino questa volta recita, alle medesima voce, 10.346 euro. In cinque anni un «HH07000 CL8» - il codice che nei meandri della burocrazia identifica i procuratori con classe di anzianità «8» - ha visto la sua busta paga lievitare di poco meno di 3000 euro, circa il trenta per cento. Con ritmi simili di crescita delle entrate, di fronte al caro vita e al greggio che corre, ci si può fare una grassa risata: effetti della perequazione.
Effetti che però solo i giudici e poche altre fortunate professioni possono assaporare, quali categorie lavorative non contrattualizzate. Ogni primo gennaio l’aumento di stipendio si fa trovare bello pronto, basta aspettare. Le vertenze per il rinnovo dei contratti, le sfiancanti trattative con i datori di lavoro, le toghe le lasciano volentieri a tutte quelle altre categorie con un contratto nazionale: medici, insegnanti, carabinieri, giornalisti, vigili del fuoco. Per loro niente magici effetti perequativi.
Esempio: il 1° gennaio 2006, un vigile del fuoco capo squadra percepiva ogni mese un imponibile di 2.129 euro. Due anni dopo 2.201. Eccoli qua gli effetti dell’applicazione del contratto nazionale di lavoro: un «aumento stipendiale di 71,60 euro». Per loro niente benefici pererquativi. Benefici che per altro i giudici sono ben intenzionati a non lasciarsi sfuggire. Per questo lo scorso 5 luglio le toghe sono ufficialmente entrate (prima volta a memoria di unità totale delle varie correnti all’interno dell’Anm) in «stato permanente di agitazione». Perché? Perché qualcuno ha osato ipotizzare di mettere mano alle loro entrate, modificando una tantum l’avanzamento degli scatti di carriera da due a tre anni.
In soldoni il provvedimento a cui il governo sta lavorando bloccherebbe, per un solo anno, gli scatti di retribuzione, causando ai singoli giudici un danno economico da mancato guadagno di un minimo di 1.220 euro fino a 2.200. All’anno. Poca cosa, di fronte agli aumenti mensili di cui hanno goduto fino a ora? Dal loro punto di vista no: «Uno sciopero dell’Anm per motivi politici è impensabile - ha commentato Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm -.
Se qualcuno decide che è meglio sospendere i processi per un anno, non protestiamo: diciamo che è sbagliato, al limite». Ma se «invece c’è un attacco alla struttura complessiva dello stipendio, e quindi delle carriere, allora possiamo protestare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.