La Giulietta di Di Caprio in tv diventa una geniale autistica

Claire Daines in "Temple Grandin" recita nel ruolo della famosa scienzata americana

La Giulietta di Di Caprio in tv diventa una geniale autistica

Roma - «No, non credo di essere rimasta affacciata a quel balcone. Lo conservo sempre in fondo al cuore, naturalmente. Ma nel frattempo ne sono scesa». Anche se molti la ricordano ancora lassù: lo sguardo sognante e due ali bianche sulla schiena. Claire Danes sarà sempre, inevitabilmente, la Giulietta in versione pop che, nel 1993, un Leonardo Di Caprio in camiciola hawaiana invocava, da sotto il balcone di Verona Beach, in Romeo+Juliet, di Baz Luhrmann. «Quello è stato il film che m’ha lanciato - ammette oggi l’attrice, nel frattempo apparsa in molte altre pellicole, come The hours o The Rainman - ma nessun interprete ama rimanere troppo legato ad un unico ruolo; sia pure di successo». E stavolta la Danes ha mirato in tutt’altra direzione: con Temple Grandin (film tv presentato recentemente al RomaFictionFest) ha vestito i panni autentici della donna che, pur affetta da autismo, è riuscita a diventare uno degli scienziati più noti al mondo, grazie alla clamorosa ideazione di attrezzature sperimentali per l’allevamento del bestiame. «La storia è semplice e, a suo modo, esemplare - racconta Claire -. All’inizio Temple è una ragazzina che, come qualunque malato di autismo, tende ad isolarsi, a rifiutare le reazioni col mondo esterno. Invece di ritenerla una povera handicappata, la madre, la zia ed un’insegnane l’aiutano a sviluppare il suo unico talento: una sensibilità eccezionale per la comprensione del comportamento animale. Finché, col tempo, Temple diverrà addirittura una pioniera delle ricerche sull’autismo e, soprattutto, contribuirà ad una sua diversa valutazione da parte del resto del mondo». Tutto questo Temple Grandin (diretto da Mick Jackson) lo racconta ricorrendo ad uno stile narrativo asciutto, lontano da troppo facili pietismi: «Volevo arrivare al cuore del pubblico. Per questo ho cercato anche di risultare toccante. Ma non avrei mai voluto sfruttare il dramma di Temple, solo per ottenerne facili effetti». L’attrice ha infatti incontrato e conosciuto la singolare scienziata: «Non le ho fatto tante domande, mi sono accontentato di passare del tempo con lei. Poi, con i nastri registrati della sua voce, che ascoltavo in cuffia tra un ciak e l’altro, e un “coach” della fonetica, ho cercato di ricostruirla nella finzione». Unico neo? Il fatto che Temple Grandin sia destinato al piccolo schermo (in autunno, forse, anche a quelli italiani) piuttosto che al grande. «Certamente questa non è una storia facile da raccontare - riflette l’attrice-.

Ve la immaginate al cinema? Quale produttore avrebbe investito i suoi capitali sulla vita di una pioniera nell’allevamento del bestiame? E per farne cosa: Temple Grandin in 3D?. No: molto meglio la tv. Dove è ancora possbile, sia pure con difficoltà, raccontare storie dure, ma ricche di speranza, come questa».

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