Puntuale come un meccanismo ad orologeria arriva la difesa della Einaudi. Non richiesta, pretestuosa e tendenziosa.
Laltroieri, alla annuale «Lettura del Mulino» tenuta allUniversità di Bologna, Gian Arturo Ferrari, nel ruolo di Direttore generale della divisione libri del Gruppo Mondadori, ha tenuto un intervento sul tema «Editoria di cultura e cultura delleditoria». E nel farlo ha citato, en passant, lesperienza di Giulio Einaudi, ri-raccontando peraltro cose stradette e stranote, vale a dire il «progetto grandioso, megalomane e forse insensato» di una casa editrice fiancheggiatrice del Partito comunista. Un progetto che andava ben oltre le ragioni economiche e commerciali, e infatti la casa editrice fallì miseramente. Tutto questo solo per dire che invece la Mondadori di oggi, dentro la quale continua a lavorare lEinaudi, è unaltra cosa, totalmente differente, con tuttaltri obiettivi eccetera eccetera. Gian Arturo Ferrari ha detto una cosa banalissima, che se detta da altri, o in altri momenti, non avrebbe minimamente lasciato il segno. Ma Ferrari - fino ieri una «persona seria e posata» come ha riconosciuto lo stesso Alberto Asor Rosa ieri su Repubblica - ha avuto il torto di sbagliare i tempi: lha detto subito dopo lincarico (meno di un mese fa) a presidente del «Centro per il libro» affidatogli - ohibò - dal ministro Sandro Bondi. Quindi la destra impresentabile, ignorante, con la quale non si deve parlare. Ed ecco scattare la polemichetta culturale.
Domenica mattina Repubblica, con raro senso della misura, ha sparato in prima pagina un esilarante attacco ad personam a Gian Arturo Ferrari, il «traditore» (titolo: «Il capo della Mondadori contro Einaudi»), accusandolo del nulla, cioè di aver detto una cosa che tutti sanno dagli anni Ottanta, e cioè che il progetto pensato da Giulio Einaudi era troppo più grande di lui (e del mercato). E ieri, non soddisfatta, Repubblica ha pubblicato una lenzuolata di Alberto Asor Rosa - uno «Struzzo» fedelissimo - in difesa di Giulio Einaudi e contro Gian Arturo Ferrari, reo di essere entrato nella corte di Bondi («un colpo di vento può capitare a chiunque»).
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