Giuseppe Maiocchi il giorno dopo la sentenza: «Soddisfatto perché i giudici ci hanno creduto, ma non scorderò mai il ragazzo morto» «Il dolore non passa, ma ricomincio»

L’orefice ieri, come sempre, era in negozio: «Ci vorrà tempo per tornare alla normalità»

Enrico Lagattolla

Il giorno che segue è la normalità ritrovata. Via Ripamonti angolo via Sibari, una mattina che non è come le altre. La «gioielleria Maiocchi» e la famiglia che in quel negozio lavora da una vita. Lo spartiacque della sentenza, il «prima» da lasciarsi alle spalle, il «dopo» da costruire. «La vita va avanti». Giuseppe Maiocchi, dietro al bancone anche oggi e come sempre, telefonate e visite di amici e conoscenti. E poi la gente del quartiere. «Vengono in molti, in molti mi hanno chiamato. Chi non lo ha ancora fatto, sono certo, lo farà nei prossimi giorni. Ora cerchiamo solo di stare tranquilli».
Il giorno dopo dei Maiocchi segue una notte con le ore piccole. «Nessuna festa, per carità. Solo, non riuscivo a dormire. A un certo punto sono crollato, di sonno e stanchezza. Stamattina, però, ero già sveglio alle cinque e mezza». Ha il volto disteso, Giuseppe. E come lui la sorella Caterina. E così Rocco, al lavoro. «Non abbiamo mai smesso di fare quello che abbiamo sempre fatto - continua Giuseppe -, perché così è più facile andare avanti. Anche se spesso capitava di non esserci con la testa, di mettersi a pensare a quello che era successo e a quello che sarebbe potuto succedere. Allora tremavano le mani, bisognava mollare il lavoro per un po’. E poi ricominciare».
Frastornati. Il via vai in negozio è continuo. Una processione di abbracci e congratulazioni. Il cellulare che squilla, «grazie» ripetuto con sobrietà, il sorriso misurato. Non c’è niente di eccessivo, nel giorno che segue. L’enfasi è tutta dei loro «ospiti». «Li capisco, ognuno pensa e si comporta come crede. Ma noi non vogliamo suscitare clamore. Abbiamo chiesto che non vengano organizzati festeggiamenti, non è il caso. Né, da ieri, abbiamo fatto niente di particolare».
L’attimo della sentenza, «e quando ho sentito il presidente leggere i capi di imputazione ho capito che ci avevano creduto, che alla fine la verità era venuta a galla», la serata, passata in casa dei familiari della moglie «perché era il compleanno di due parenti, abbiamo bevuto un bicchiere di vino alla loro salute, niente di più», e la mattina come le altre, «forse più leggera», colazione al solito bar «dove ho ricevuto l’abbraccio delle persone che mi conoscono. Poi qui in negozio a lavorare. Domani alla bocciofila. Lì mi aspettano altri amici».
Non solo un «prima» e un «dopo», però. Una traccia che è un solco, il 13 aprile di due anni fa che non si può dimenticare. «Ci vuole tempo, ce ne vorrà molto. Il ricordo di quello che è successo forse ci accompagnerà sempre. È morto un ragazzo, è un peso difficile da sopportare».
Eppure oggi è diverso, almeno un po’.

«Vedremo se la Procura generale vorrà fare ricorso in appello, fino a sentenza definitiva non saremo del tutto tranquilli. Certo, oggi è più facile ricominciare». Il giorno che segue è la normalità, come sempre. O forse no.

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