Da manuale. Le polemiche attorno all’egemonia culturale della sinistra (presunta o reale) che trova, o troverebbe, nella scuola e nell’università, nelle case editrici di settore, nei libri di testo e per tradizione nella gran parte del corpo insegnante le proprie leve più potenti e i propri strumenti «persuasivi» più efficaci, si ripetono a ogni stagione, ogni volta aumentando da una parte e dall’altra l’asprezza delle critiche reciproche: da un lato le accuse contro un insegnamento ideologico e fazioso, dall’altra la pavloviana levata di scudi di fronte ai tentativi liberticidi di censura e revisionismo storico. Entrambe la parti, come sempre accadde, hanno le loro ragioni, e i loro torti.
L’ultimo capitolo dell’infinita polemica sul delicato rapporto tra scuola e politica è stato scritto ieri, con la richiesta da parte di una ventina di deputati del Pdl guidati da Gabriella Carlucci di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta «sull’imparzialità dei libri di testo», soprattutto quelli di storia, colpevoli - secondo i firmatari - di «indottrinamento» per «plagiare» le giovani generazioni a fini elettorali e di «gettare fango su Berlusconi». A loro giudizio moltissimi manuali offrono agli studenti una visione della storia, specie quella attuale, asservita al centrosinistra.
Immediata e prevedibile la reazione della sinistra: «Un patetico e maldestro tentativo di revisionismo strisciante che respingiamo al mittente» (Pierfelice Zazzera, capogruppo Idv in Commissione cultura alla Camera), «Il Pdl vorrebbe una scuola pubblica di regime, completamente asservita al potere del governo» (senatrice del Pd Vittoria Franco), «un’iniziativa che nulla avrebbe da invidiare al Minculpop» (la capogruppo Pd nella commissione Cultura della Camera Manuela Ghizzoni).
Come da copione, la sinistra, di fronte a una legittima preoccupazione rispetto alla vulgata storiografica dominante su alcuni nodi cruciali del nostro passato più recente (e magari anche del presente, come insegnano alcuni casi di cronaca recenti riguardanti temi in chiave antiberlusconiana assegnati agli studenti o la lettura commentata di alcuni quotidiani politicamente a senso unico nelle classi dei nostri ragazzi...) ha reagito stancamente ripetendo lo sdegno di sempre, in nome di un malinteso senso, duro a morire, della parola revisionismo. Che non significa negazionismo o riscrittura politica della Storia, ma solo – come è noto - la necessità di aggiornare continuamente le ricerche e gli studi storiografici. Perché scandalizzarsi se qualcuno chiede di esaminare e verificare la correttezza di alcuni manuali?
Del resto le faziosità, le mancanze, le dimenticanze, le letture «di parte» di alcuni eventi cruciali della nostra Storia nazionale riscontrabili sulle pagine di tanti e anche prestigiosi testi scolastici sono ormai, da tempo, cosa nota: si pensi, tra i tanti esempi possibili, ad alcune interpretazioni delle insorgenze antigiacobine, del Risorgimento visto da parte cattolica piuttosto che da quella cosiddetta «laica», del brigantaggio e della questione meridionale, non stiamo a dire ovviamente del fascismo, e poi le foibe, i terrorismi rosso e nero negli anni Settanta, Tangentopoli... Possiamo davvero fidarci, a occhi chiusi, di tutti i manuali che sono negli zainetti dei nostri figli?
Come detto, la polemica di oggi non è cosa nuova. Nel 2000 accadde qualcosa di simile nella Regione Lazio governata da Francesco Storace (e chi scrive ricorda una interessante inchiesta del Foglio che smascherava pagina per pagina, riga per riga, le falsità e le faziosità dei libri di storia più in voga nelle scuole medie e superiori italiane).
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