Per non rischiare di perdersi nei labirinti dietrologici del Ciancimino-pensiero occorre una premessa: il figlio di don Vito, sindaco mafioso di Palermo, dopo aver cominciato a parlare con i pm delle stragi di mezza Italia, recentemente sè visto dimezzare in appello la pena incassata in primo grado al processo che lo vede imputato per aver riciclato il presunto tesoro di Cosa nostra. Sullattendibilità delle sue dichiarazioni cè ampio dibattito, specie ora che col deposito dei suoi 22 verbali ha allargato il tiro partendo della conoscenza decennale fra DellUtri e Provenzano (sic!) e finendo al caso Moro dopo esser passato per Ustica e Licio Gelli. Molti dei riferimenti del giovane Ciancimino sono smentiti dai riscontri. Ecco una sintesi.
«Sicuramente il DellUtri ha gestito i soldi che appartenevano sia a Stefano Bontade che a persone loro legate».
Accuse già smentite, con riferimento anche alle parole dellimprenditore Rapisarda sui soldi scambiati a Milano con Bontade nella primavera del 74. Al processo è stato però documentato come Bontade, in quel periodo, non si era mai mosso da Cannara, vicino Perugia, dovera al soggiorno obbligato (lunico sgarro lo pagò con larresto in autostrada) così come mai poteva esser presente allo stesso scambio il boss Teresi di cui ha parlato il pentito Di Carlo e per altri versi il pentito Cucuzza. Lobiettivo segreto dei pm è quello di riaprire il filone sul riciclaggio a carico di DellUtri (compreso nel procedimento 6031/94) puntando sulle novità «finanziarie» raccontate da Spatuzza e Ciancimino.
«DellUtri subentrò a mio padre nella trattativa, i rapporti tra lui e Provenzano erano molto stretti» oltre 10 anni.
Non cè alcun documento nel processo DellUtri (primo grado e appello) in cui emerge una cosa del genere. Tutti i pentiti della Commissione di Cosa nostra (Brusca, Cangemi, Giuffrè) non sanno niente al riguardo e nulla emerge dai processi di strage. E poiché i rapporti erano decennali, ne dovevano sapere qualcosa anche Buscetta, Contorno. Che invece non ne parlano, al contrario del carneade Spatuzza, poi smentito dal boss Graviano.
«Il senatore del pizzino di Provenzano? È DellUtri».
Dopo aver fatto una confusione pazzesca sul biglietto sequestrato a casa Ciancimino in cui si parlava di tv e Berlusconi, il figlio di Vito (che prima dice che lha scritto il padre, poi si corregge e lo attribuisce a Provenzano, quindi di fronte allevidenza che la grafia non è del boss cambia ancora versione) fa una ulteriore confusione su altri pizzini del 2000 in cui si tira in ballo un «amico senatore» che Ciancimino jr fa risalire certamente a DellUtri che in quellanno, però, era ancora deputato.
«Mio padre disse che DellUtri era lunico che poteva scavalcarlo nella gestione della trattativa (...). Una volta tentò di agganciare DellUtri perché voleva parlargli e tentò tramite me e un certo deputato Catania. Poi non se ne fece più niente perché DellUtri aveva paura di incontrare mio padre».
Ciancimino jr prima dice che il padre per chiedere qualcosa a DellUtri si rivolgeva a Provenzano, poi afferma che si rivolgeva a lui stesso o a un deputato, quindi confessa che papà non lo stimava (DellUtri) e non voleva averci rapporti, al dunque che provò in tutti i modi ad agganciarlo. Alla fine sostiene che DellUtri aveva paura a parlare con Ciancimino, come se parlare con Provenzano per 10 anni di seguito fosse, invece, meno pericoloso.
«La mancata perquisizione al covo di Riina? Papà mi disse che era una delle garanzie che chiese ai carabinieri (in cambio della soffiata per larresto, ndr) e che i carabinieri ovviamente diedero (...). Riina si vantava che aveva un sacco di documenti, era meglio non rischiare perché sarebbe saltata lItalia...».
I misteri del covo sono stati chiariti al processo contro Mori e il capitano Ultimo, entrambi assolti con sentenza passata in giudicato (non appellata). Per i giudici non vi fu alcuna soffiata di Ciancimino, si trattò di pura attività dinvestigazione. La decisione di non perquisire il covo venne presa daccordo con la procura di Palermo. Quanto a Riina che aveva segreti tali, si riferiscono a quando Berlusconi era sconosciuto: perché solo quelle parti sono «omissate» dai pm?
Nel verbale del 6 giugno 2008 Ciancimino jr fa intendere che casa sua a Roma, in via San Sebastianello, con il padre ai domiciliari, fosse frequentata da mafiosi come Provenzano e agenti segreti.
Nei suoi scritti postumi, Ciancimino senior si lamenta invece dei continui ed assillanti controlli cui è sottoposto da polizia e carabinieri nella sua abitazione romana. Possibile che uomini delle istituzioni deviate e di Cosa nostra corressero così banalmente il rischio di essere scoperti?
«Mio padre faceva parte di Gladio».
Il presidente di Stay Behind smentisce che il nome di Vito Ciancimino sia nellelenco di Gladio allegato alla relazione presentata al Senato nel 91. Non appare nemmeno fra gli appartenenti nati in Sicilia (in numero di 11). Per lex responsabile Paolo Inzerilli, il nome di Ciancimino non risulta neppure incluso nei cosiddetti «negativi», mai contattato.
«Nel 1980 ci fu un grande movimento dei Servizi con papà. Non mi posso scordare: il 19 giugno 1980, mi ricordo che proprio quella sera ci fu la strage di Ustica. Mio padre incontrò il ministro Ruffini (...). Mi raccontò già allora, il primo momento, si seppe della storia dellaereo francese che per sbaglio aveva abbattuto il Dc9 e che bisognava attivare una operazione di copertura affinché non uscisse niente».
La strage è del 27 giugno 1980 e non del 19 giugno. Il ministro Ruffini, allepoca del disastro non era più ministro della Difesa e nemmeno era più agli Esteri (se ne va a marzo, la strage è a giugno). Il processo ha dimostrato che non vi fu una battaglia aerea su Ustica, nessuno sbaglio, nessun missile colpì il Dc9, nessun velivolo volò in zona, e il mig libico precipitato sulla Sila cadde in tuttaltra data. Lunica tesi rimasta è la bomba.
«Mio padre diceva, dellesecuzione di Mattarella, che si erano serviti di manovalanza romana legata alle, non so, ai brigatisti rossi, neri, non mi ricordo. Lomicidio Mattarella sarebbe stato uno scambio di favori».
La pista nera è stata cancellata dai tre gradi di processo, dove gli ex Nar Fioravanti e Cavallini sono usciti assolti con la formula più ampia. Nel libro di Falcone scritto con Marcelle Padovani, il giudice non crede assolutamente alla manovalanza di cui parla Ciancimino, non ci crede come magistrato e come siciliano, perché la mafia non si rivolge a un esterno per compiere un delitto interno.
«Mio padre (riferito al ruolo dei Servizi, ndr) mi disse per ben due volte di non dare seguito a delle richieste pervenute per fare pressione su Provenzano affinché si attivassero per aiutare lo Stato nella ricerca del rifugio di Moro».
Ciancimino è smentito dal pentito Marino Mannoia che parlò di un interessamento diretto del capomafia Bontade, e dal collega Masino Buscetta che ammise daver ricevuto un incarico dal vertice di fare da intermediario fra Cosa nostra e le Br.
«Mio padre mi disse che lui si incontrò con Licio Gelli nel 90 a Cortina, lui che odiava la montagna, lui uno che non ha fatto un bagno a mare se non nel fiume di Corleone, che non si spostava mai. Fu un incontro a due...».
Licio Gelli, interpellato telefonicamente dal Giornale, nega decisamente la circostanza: «Non ci ho mai parlato né a Cortina né altrove perché, semplicemente, questo signor Ciancimino non lho mai visto o sentito in vita mia».
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