Glen Grant, alle radici del whisky

nostro inviato a Aberdeen
Destinazione, una distilleria che fa storia. A Nord della Scozia. Qualche ora di volo da Milano, via Amsterdam, e un Boeing è sulla pista di Aberdeen, in una regione nota per il verde e il buon bere. Viaggio fra turismo e degustazione in terre protestanti dove la «fede» nel whisky è anche la sopravvivenza. Qui un centinaio di produttori danno lavoro a molti. Ok, finalmente arrivati a Rothes, dove passa il fiume Spey. «Siamo alla Glen Grant, dal 1840 al centro dell’innovazione - fa gli onori di casa mastro Dennis Malcolm -. Ed eccoci nel nuovo visitor center...».
Dalla distillazione alla maturazione, passando dall’infusione: nello stabilimento seguire i racconti sulle lavorazioni con le acque delle highland ti cattura. Ma qual è la particolarità della bevanda ottenuta col malto d’orzo? «Il distillato - spiega l’esperto - è il risultato degli alti e stretti alambicchi e dei purificatori che James “The Major” Grant introdusse oltre un secolo fa». Sapeva che i clienti cercavano alternative ai whisky forti e decisi e agì senza compromessi e miscele. Il mercato gli diede ragione. Oggi nel Belpaese il «Glen» si trova invecchiato da 5 e 10 anni; al visitor center si arriva ai 15 e oltre. Bengodi della bottiglia, con istruzioni per l’uso: «Prenderla, versare quanto basta, aggiungere la stessa quantità d’acqua, sentire il profumo e poi giù...».
Lezione impartita dopo la visita dei Victorian Gardens, oggi insieme all’azienda in mano alla Campari. «In Italia - afferma il direttore marketing Jean Jacques Dubau - è il single malt più venduto».

Il viaggio continua da Rothes a Forres, dove Sheakespare ambientò il Macbeth. Poi tutti a casa, all’aeroporto sarà una tristezza. Ma nella serata dei saluti alla scozzese, con canzoni e cornamuse, ha salvato un po’ tutti la filosofia. Quella del mastro: «Prosit, beviamoci su...».

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