Michele Boschi
da Milano
Gnutti lascia anche l'ultima carica rimasta aperta: quella di consigliere nel board di Olimpia, la holding di controllo di Telecom Italia di cui la sua Hopa possiede il 16%. La decisione era nell'aria e arriva nel giorno in cui da parte dei magistrati milanesi si affaccia lipotesi di associazione a delinquere e pochi giorni dopo le dimissioni del finanziere bresciano da tutti i più importanti ruoli operativi (consigliere di Unipol, Asm Brescia, Mps di cui era anche vicepresidente), oltre a quello di presidente e guida di Hopa stessa, non ancora ufficializzato, ma ormai prossimo come l'arrivo al suo posto del prof. Maurizio Dallocchio. A questo punto con l'uscita di scena di Gnutti, al centro delle indagini della Procura nell'inchiesta Antonveneta-Bpi e Unipol-Bnl, si riaprono i giochi intorno al futuro di Telecom Italia, visto che il prossimo 9 febbraio scadrà il primo termine degli accordi della loro intesa. Lo scenario è complesso e articolato, considerando che entrambi i contraenti del patto potranno dichiarare un eventuale divorzio, e che a inizio aprile anche le banche azioniste in Olimpia avranno la facoltà di lasciare la propria quota.
Il nodo Hopa. Le pressioni finanziarie intorno ad Hopa, con la richiesta di rientro dai prestiti da parte di tutte le più importanti banche, e l'uscita di scena del suo deus ex machina lasciano intendere che a Brescia ci sia la tentazione di gettare la spugna e liquidare gli asset della celebre scatola di partecipazioni. Una decisione che non appare però così facile, dal momento che il rischio è quello di andare incontro ad un «svendita» di quote, che lascerebbero un bottino piuttosto magro agli azionisti. La sola quota di Hopa in Olimpia messa a bilancio per un valore superiore al miliardo di euro, e in base agli accordi di vendita (differenza tra valore titoli e debito, più 208 milioni di premio) frutterebbe poco più della metà.
La prospettiva è decisamente diversa dal fronte Telecom Italia, che può vantare alcuni punti di vantaggio, non ultimo il basso valore del titolo. Per il socio di controllo di Olimpia, Pirelli, il riacquisto del 16% in Olimpia da Gnutti, con la conseguente cessione al finanziere del 19,9% in Holinvest (altra holding controllata per 80,1% da Hopa) potrebbe significare la fine del rapporto con un socio considerato ormai scomodo, ma anche un impegno finanziario di oltre 500 milioni di euro. Somma alla portata del gruppo, che con un debito al 31 settembre di 1,2 miliardi, è ancora al di sotto del limite massimo di 2,5 miliardi fissato dalla società.
Le banche. La situazione però si potrebbe complicare nel caso in cui le banche (Unicredit e Banca Intesa) dovessero annunciare ad aprile di volere abbandonare anch'esse Olimpia, pretendendo, come da accordi, l'intero valore del loro investimento del 4,77% ciascuno. Per Pirelli, con l'aiuto magari di Edizioni Holding, secondo azionista nella società, questo significherebbe mettere sul piatto altri 1,16 miliardi, che metterebbero a rischio la posizione finanziaria. Per questa ragione si è ipotizzato l'intervento di un nuovo socio, in aiuto a Tronchetti. I nomi provenienti dalla sale operative sono diversi, da Zaleski a Mediobanca, o addirittura un partner estero.
Le mosse in Olimpia. Destabilizzare l'equilibrio all'interno del gruppo con un nuovo socio non è comunque nelle intenzioni del management, che starebbe quindi valutando anche la possibilità di rinegoziare con la nuova Hopa, priva di Gnutti e ripulita nella corporate governance, un nuovo patto triennale, rivedendone al ribasso il «premio d'uscita». Magari, come spiegano dalle sale operative, cercando di mettere ulteriore pressione agli azionisti di Brescia.
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