Politica

Gogna mediatica

Che straordinaria invenzione la gogna mediatica. È un singolare miscuglio di antico e di post-moderno, di barbarie e d’informazione avanzata: l’odioso strumento che consentiva di esporre un accusato al pubblico ludibrio si rafforza con l’impiego della stampa nutrita d’elettronica. Quale primitivo progresso! Ad aumentare la nostra meraviglia, non disgiunta da comprensibile timore, c’è un altro elemento: la nuova gogna non segue a un giudizio, ma lo anticipa, sicché un cittadino può essere additato al pubblico disprezzo prima ancora che ci sia il puntuale accertamento (possibilmente equo) dei fatti e delle responsabilità.
Ieri mattina, sul più diffuso quotidiano italiano, Il Corriere della Sera, su iniziativa di un giudice milanese delle indagini preliminari, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è stato letteralmente incartato in quattro pagine fitte fitte. Il giudice ha reso noto che il 28 ottobre prossimo – data fatidica di rivoluzioni passate e di possibili marce contro il buon senso – ci sarà l’udienza preliminare per decidere se rinviare a giudizio l’attuale premier e altri imputati per il reato di appropriazione indebita a danno delle sue aziende. È una delle tante inchieste imbastite su Mediaset, numerosissime e mirabolanti. Per far capire al volgo di che si tratta, l’annuncio-proclama del giudice è stato seguito dalla pubblicazione integrale della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura. Pagine, pagine, pagine, quattro volte pagine.
È assurdo pensare che tutti i lettori del Corriere abbiano esaminato con cura le migliaia e migliaia di righe scritte in italo-leguleio-magistratese, quell’ostica lingua che serve ad allontanare ancora di più la gente dalla comprensione dello spirito della legge.
Figurarsi. Si saranno limitati a constatare l’imponenza dell’offensiva cartacea e di tutta la pappardella legale saranno loro rimasti in testa soltanto i capitoletti dell’accusa, la ridda delle presunte somme distratte, valute straniere in una sequela di spostamenti, «in concorso con...». Tutta roba da dimostrare, contestata dalla difesa – delle cui tesi, naturalmente, nulla si pubblica – ma il seme degli addebiti non muore mai completamente, specie se sparso con tecniche efficaci nella cattura dell’attenzione, quasi di suggestione subliminale. «Distratto», «milioni di dollari» e via accusando: le parole, come sempre, sono pietre e poi stanno scritte sul giornale, sul «Corrierone». Sia chiaro, perché la gogna mediatica funzioni si richiede, di regola, l’attivo concorso degli organi di stampa, ma questa volta dietro le quattro insolite pagine del Corriere non c’è alcuna scelta giornalistica o editoriale, c’è soltanto la volontà del giudice delle indagini preliminari che ha scelto di usare i «pubblici annunci» come quando si tratta di render nota la vendita all’asta di un bene inserito in un asse fallimentare. Questa particolare forma di notifica è prevista, è vero, dalla legge, ma fior di giuristi sono pronti a dire - basandosi su casistiche, precedenti e prassi consolidate - che l’ennesimo processo a Berlusconi non richiedeva tale strepito giornalistico. E tale onere finanziario. Perché quattro pagine a pagamento del Corriere non costano bruscolini, ma 180mila euro sonanti. Tanta spesa per avvisare parti del processo che si sarebbero potute raggiungere con mezzi ordinari (e a basso costo) usati di solito? Non vogliamo addentrarci in una inutile polemica con i committenti delle quattro pagine. Una democrazia può anche morire di cavilli. Sappiamo che nella lettera delle leggi è previsto tutto e sappiamo che l’interpretazione accorta delle norme può condurre a tutto, pure all’ingiustizia. Si può tornare alla barbarie anche ai sensi di legge.
No, con i magistrati non si polemizza, loro possono spendere il nome e le risorse del popolo italiano. Ma i cattivi pensieri non si possono sempre respingere, si rischia l’implosione politica e morale. A parte i timbri, i bolli e le formule procedurale, nessuno ci toglie dalla testa questo pessimo pensiero. Che, cioè, certi magistrati soffrano a non essere più seguiti e adorati dai giornali. Che s’adombrino perché i processi a Berlusconi, imbastiti o annunciati, non provochino più titoli cubitali, dato che lo strepito delle montagne dei procuratori partorisce topolini e non condanne. E che allora i «pubblici annunci» siano soltanto un espediente.

E non dei più fini.

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