Politica

Il «gotico rock» di Dior inaugura il gran ballo dell’alta moda a Parigi

Daniela Fedi

da Parigi

Milano l’ha detto, Parigi lo sta urlando: il prossimo inverno le donne saranno cupe e solenni come Berlino nella morsa del nazismo. «La parola d’ordine è: gotico» dicono all’unisono John Galliano e Jean Paul Gaultier con due collezioni diverse in tutto tranne in quella austera severità che accomuna i romanzi sui vampiri di Anne Rice, il rock e le favole nordiche. Non a caso la furiosa sfilata di Dior andata in scena ieri sera nel gelo insopportabile del Grand Palais aveva una colonna sonora piena di storici brani come «My Sharona» sparati a tutto volume. Le cinquanta modelle marciavano invece di sfilare con i pesanti stivaloni tipo «camperos» oppure con una curiosa scarpa dal tacco a stiletto e dalla tomaia rivestita con una specie di calza a rete. Tutte con i capelli lunghi, lisci e trattenuti da una bandana nera tipo quella cara a Loredana Bertè, molte con gli occhialoni neri e qualcuna con un nuovo formidabile modello di lenti interamente ricoperte di strass, queste temibili cattivone sfoggiavano giacche meravigliose dal taglio allungato e poi ripreso sui fianchi.
I colori oscillavano dal nero al marrone con due belle esplosioni di bianco neve-sporca e rosso-sangue. Il tutto con materiali elaborati in mille modi dalla pelle martellata e poi decorata con pezzi di seta e lurex incollati per non parlare delle pellicce fatte prima a pezzi e poi riassemblate su un tessuto trasparente. L’effetto era tutt’altro che rassicurante: se le ragazze non avessero avuto al collo grandi croci rosse oppure nere ci sarebbe stato da chiamare un esorcista. Qualcuno parlava di riferimenti al kolossal tratto dal romanzo di Dan Brown, Il codice Da Vinci mentre pochi riconoscevano nella collezione di Jean Paul Gaultier l’omaggio a Sleepy Hollow, bellissimo film di Tim Burton con Johnny Depp e Cristina Ricci. La messa in scena della sfilata prevedeva infatti la presenza in passerella di cani vestiti come chi li portava al guinzaglio, gatti con la stessa espressione annoiata delle modelle e perfino una civetta. «Volevo far vedere che noi umani alla fine assomigliamo ai nostri animali e viceversa» si è giustificato lo stilista perdendo quindi una buona occasione per spiegare perché improvvisamente le sue belle forme sono come ingabbiate entro cupe gabbie di tulle, l’oro si stempera nel nero e tutto è austero, coperto, con pochissima ironia.
Del resto l’autorevole Herald Tribune parla di «islamizzazione della moda», mentre la geniale Vivienne Westwood che all’inizio degli anni Ottanta inventò lo stile post-atomico oltre al punk dice che c’è un antidoto alla disgregazione sociale: la cultura. Infatti alcuni suoi modelli sono tagliati da Dio e assemblati con rara coerenza anche se l’impatto visivo era tra lo sfatto e l’angosciato. «Io voglio fare il designer per le femmine con la F maiuscola» dice invece Ennio Capasa presentando le giacche-gioiello e i magnifici pantaloni a 12 pieghe di Costume National. Per riassumere lo spirito di collezione si potrebbe dire «Piccole rocchettare crescono».
Ma la crescita più importante in questo caso riguarda il fatturato: più 43 per cento nei primi due mesi del 2006 con le vendite della donna ancora in corso. Non è dato sapere quanto vendono Viktor & Rolf, genietti olandesi poco inclini all’autoironia, ma indubbiamente dotati nel racconto del loro stile. Stavolta la messa in scena prevedeva un viaggio con cinque tappe nei grandi classici del guardaroba femminile: il tubino nero, il trench, il tailleur grigio, la gonna nera con la camicetta candida e l’abito da sera stretto in vita con tanto di crinolina. Niente di nuovo, quindi. Ma fatto benissimo e con un’idea fenomenale: intingere parti dei vestiti (il collo, le ruches e i bordi) oppure l’intero modello in un bagno di vero argento che solidificandosi crea vere e proprie sculture.

«In Olanda lo facciamo con le prime scarpine dei bambini, è un modo per proteggere i ricordi» hanno detto i due.

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