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La gotta di Virginio Orsini impedì di salvare Caravaggio

Il pittore, in fuga da Napoli, giunto a Palo cercò l'appoggio del duca di Bracciano. Il quale, malato, si trovava a Roma

La gotta di Virginio Orsini impedì di salvare Caravaggio

Davvero il Caravaggio è morto a Porto Ercole, il 18 luglio 1610? Sulla scorta di una serie di dispacci e missive intercorse nei giorni successivi alla morte del pittore, si è radicata nella storiografia la vulgata secondo cui avrebbe tentato di rientrare a Roma ottenendo la grazia da Papa V, per intercessione del cardinal nipote, Scipione Borghese, interessato ad acquisire alcune sue opere. Salpato da Napoli su di una feluca, con a bordo i dipinti destinati al Borghese, sarebbe stato arrestato a Palo, sulla costa laziale. Liberato a fronte di un esborso di denaro, avrebbe proseguito verso Porto Ercole, trovando la morte dopo aver contratto una febbre malarica, presso l'ospedale di Santa Maria Ausiliatrice, mentre l'imbarcazione con i quadri che dovevano valergli l'intercessione del cardinal Borghese rientrava a Napoli.

Ora Gli ultimi giorni di Caravaggio. Da Napoli a Palo (Horti Hesperidum, pagg. 113, illustrato, euro 19), l'ultimo lavoro del ricercatore Renato di Tomasi, smonta questa narrazione pezzo per pezzo. Chiarisce anzitutto che Palo non faceva parte dello Stato pontificio, come si è sempre scritto. Era invece nei possedimenti del duca di Bracciano, Virginio Orsini, cugino di Costanza Colonna, marchesa di Caravaggio e protettrice dell'artista. Il territorio possedeva piena autonomia giurisdizionale. Sbarcando in questo luogo il pittore non rischiava di essere arrestato in relazione alla condanna alla pena capitale che gravava sulla sua testa nello Stato della Chiesa. È riemersa recentemente dall'Archivio Farnese di Parma una procura sino a oggi inedita che riguarderebbe l'accordo notarile tra il Merisi e Giovan Francesco Tomassoni, fratello di Ranuccio, che il pittore aveva ucciso in duello nell'estate del 1606. Ottenuto l'accordo con i famigliari della vittima, il Merisi poteva sperare di avere in breve tempo il perdono del papa.

Di Tomasi pone l'enfasi su di una lettera che Costanza Colonna scrive a Virginio Orsini, duca di Bracciano, tre settimane prima che il Caravaggio salpasse da Napoli. La marchesa chiede che siano perorate certe «istanze», che riguardano probabilmente il rientro del pittore nell'Urbe. Virginio è anche cognato del cardinal Montalto, figura di grande rilievo nella Curia, primo elettore di Pio V. Ed è molto legato allo stesso Scipione Borghese. È insomma la figura chiave in grado di perorare la causa del Caravaggio.

A Palo esisteva un castello, poi passato agli Odescalchi, e un casamento, che nei secoli ha cambiato più volte destinazione d'uso, secondo le necessità dei duchi di Bracciano, i quali avevano disposto la presenza di una piccola guarnigione, a protezione di approdo e rocca (usata come residenza di caccia anche da papa Leone X Medici).

Cosa può essere accaduto dopo lo sbarco del Merisi? Non già, come sosteneva il Baglione, antico biografo del Caravaggio, un arresto da parte delle guardie spagnole, che non avevano giurisdizione su quei luoghi, ma un probabile equivoco. Di Tomasi infatti rileva come il duca fosse in quei giorni in fin di vita a Roma per l'aggravarsi della gotta. Lo stesso Scipione Borghese si era a lungo attardato presso il capezzale del duca. Impossibilitato a mettersi in contatto con il signore presso cui cercava protezione, il pittore può aver avuto un alterco con i militari di stanza. Posto in arresto, non viene però processato: in quel caso infatti avrebbe dovuto essere spostato nella sede giurisdizionale di Bracciano.

Come e perché avrebbe poi raggiunto Porto Ercole? Palo è tuttora circondata da un territorio infido e paludoso. Il percorso lungo l'Aurelia era complicato dalla presenza di bande di briganti. Lungo la costa esistevano non meno di sette torri pontificie contro le invasioni saracene. Muoversi senza essere arrestati era estremamente complicato. La località dell'Argentario apparteneva invece allo Stato dei Presidi, e ospitava una guarnigione spagnola. A corroborare la versione secondo cui il Merisi sarebbe morto in quel luogo è stato rinvenuto nel 2001 un «foglietto volante», in cui veniva riportata sul recto la frase: «A li 18 luglio 1609 nel ospitale di S. Maria Ausiliatrice morse Michelangelo Merisi da Caravaggio, dipintore per malattia». Notizia che però stranamente non compare nel registro dei morti della parrocchia di Sant'Erasmo. In una pubblicazione che elenca tutti gli ospedali toscani medievali, quello di Santa Ausiliatrice non viene citato. Semplicemente perché non è mai esistito. E anche la data 1609, anticipata di un anno, secondo il calendario giuliano che veniva allora applicato ancora in alcune città toscane non torna, perché a Porto Ercole si usava già quello gregoriano, e dunque l'anno doveva corrispondere al 1610.

Il foglietto è un apocrifo? Di Tomasi si limita a fare lo storico, e non spinge oltre le deduzioni prodotte dalla rilettura dei documenti. Ma dal suo libro si ricava l'idea che al Caravaggio possa essere accaduto qualcosa durante l'arresto, avvenuto in un momento di anarchia, alla luce della malattia del duca. Le guardie potrebbero averlo derubato della cifra che aveva con sé, o addirittura ucciso, mettendo in scena un depistaggio.

Diventato poi, non senza sviste e svarioni degli studiosi, «verità» storica.

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