Cinque punti (federalismo, fisco, giustizia, Sud e sicurezza) non trattabili sui quali chiedere i primi giorni di settembre la fiducia del Parlamento come condizione per proseguire la legislatura. Questo l’esito del vertice del Pdl che si è tenuto ieri a Roma. Ora la palla passa a Fini, che ha pochi giorni di tempo per decidere se far rientrare nei ranghi della maggioranza i suoi uomini o proseguire nell’azione demolitoria, che a questo punto avrebbe però anche un epilogo certo, cioè l’immediato ritorno alle urne. Le prime reazioni sono molto caute.
A caldo, Bocchino fa l’agnello, dice che a occhio non ci saranno problemi a votare la fiducia su simili basi. M a non c’è da fidarsi delle sole parole, o meglio, non è questo il problema. Siamo al solito gioco del getta il sasso e nascondi la mano che è andato in scena nell’ultimo anno. Cioè spingere per la rottura, adeguarsi quando la corda si sta per spezzare per poi il giorno dopo ricominciare il boicottaggio. Per i finiani però la questione ora è più complicata per diversi motivi.
Primo. Il loro leader è azzoppato dagli scandali immobiliari e molto difficilmente riuscirà a conservare la poltrona di presidente della Camera, posizione strategica per organizzare l’ostruzionismo permanente. Secondo: per lo stesso motivo etico, Fini deve mettere da parte l’idea di diventare il leader di uno schieramento trasversale, riedizione della moralista Mani Pulite, che punti a ribaltare la maggioranza senza passare dalle urne. Terzo: gli ultimi fatti, politici e giudiziari, stanno facendo scricchiolare non poco la compattezza del gruppo fuoriuscito dal Pdl. Quarto: ormai è chiaro che le elezioni anticipate non sono più una minaccia ma una ipotesi concreta che se si realizzasse troverebbe i finiani totalmente impreparati e isolati. Ovvio quindi che i Bocchino e i Granata mettano la coda tra le gambe e tornino sui loro passi. Non costa nulla, se non la faccia, ma quella l’hanno già persa. Hanno bisogno di tempo per riorganizzarsi, ma è certo che da gente che ha messo per iscritto di «vergognarsi di aver sostenuto Berlusconi», non c’è da aspettarsi niente di buono. Una ricomposizione vera deve passare attraverso atti concreti, primo fra tutti le dimissioni di Fini da presidente della Camera. Ma c’è un altro elemento che consiglia i finiani alla prudenza.
Berlusconi ha detto di volere alla Camera una fiducia ampia sui cinque punti del rilancio, cosa impossibile senza di loro. E se la ottenesse comunque? Se per esempio Casini ritenesse il documento condivisibile al punto da votarlo per senso di responsabilità nei confronti del Paese? Domande che al momento non hanno risposte certe. Ma se si verificasse una simile ipotesi, Fini sarebbe fuori dal centrodestra, ininfluente per la maggioranza, inutile per l’opposizione. Cioè politicamente morto.
Con per di più la beffa di non costringere Berlusconi a fare il passaggio elettorale che lo vedrebbe vincitore ma che porterebbe un probabile travaso di voti Pdl alla Lega. No, a Bocchino questi scenari proprio non piacciono, e solo per questo promette di fare il bravo. A Berlusconi la decisione se fidarsi o no. Tra due settimane conosceremo la risposta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.