Il governatore è senza fedelissimi e al Senato rischia di restare solo

Bernardo, unico uomo della sua squadra, è stato voluto dal partito

Sabrina Cottone

«Sceglie di andare al Senato? Da solo?». Silvio Berlusconi è convinto che alla fine Formigoni deciderà di restare alla guida della Lombardia e ne è convinto per ragioni prima di tutto politiche: i margini di manovra del governatore a Palazzo Madama sarebbero molto esigui, dal momento che non può contare su nessun fedelissimo al suo fianco. Il fatto che Formigoni abbia voluto a tutti i costi spingere per la propria candidatura ha ridotto e alla fine eliminato le possibilità dei suoi di puntare su Roma. Come dice efficacemente Aldo Brandirali, l’assessore comunale a Sport e giovani, «sono stato un agnello sacrificale e ho pagato l’etichetta di fedelissimo di Formigoni».
«Alla fine si convincerà, come si è convinto a candidarmi» è la tesi del governatore della Lombardia, che insiste sulle prospettive romane e continua a non rassicurare i lombardi sul fatto che non torneranno al voto a breve. All’inizio il presidente del Consiglio era contrario alla candidatura di Formigoni, poi ha ceduto alle insistenze dell’aspirante senatore e soprattutto al valore aggiunto elettorale che gli assicuravano i sondaggi. L’operazione si è allargata ai presidenti di Veneto e Molise, Giancarlo Galan e Michele Iorio, ma come ha spiegato e ripetuto più volte il premier nei colloqui privati e poi in pubblico «si tratta di una candidatura di bandiera».
Non pochi in Forza Italia si chiedono perché Berlusconi non abbia voluto un impegno scritto sulle dimissioni di Formigoni dal Senato. Ma la scelta per il Pirellone del presidente senatore secondo Berlusconi è nei fatti, prima di tutto nella condizione di isolamento che lo attenderebbe a Palazzo Madama. È evidente, d’altra parte, che il governatore pensa in grande e cioè alla successione del presidente del Consiglio e a questo proposito è convinto di avere più titoli (e più voti) di Pierferdinando Casini, come dice spesso ai suoi collaboratori. Ma è altrettanto chiaro che per la stessa ragione lo attende un’opposizione strenua dei centristi dell’Udc, che hanno cominciato a far sentire la propria voce in Regione e non gli renderebbero certo la vita facile a Roma.
Insomma, alla fine un trasferimento a Roma rischierebbe di indebolire invece che di rafforzare l’indubbio potere di Formigoni, al momento alla guida della più importante Regione d’Italia. Il distrarsi dal Pirellone rischia anche di far crescere altre figure di riferimento dello stesso mondo formigoniano. Senza contare che nella prova di forza con Forza Italia e con il premier già adesso Formigoni non è riuscito a portare a casa nemmeno un suo uomo per soli meriti formigoniani. Il governatore aveva concentrato le spinte su Alberto Guglielmo e Aldo Brandirali, entrambi rimasti fuori dai giochi. Lo stesso Maurizio Lupi, ovviamente confermato alla Camera, può contare su un rapporto consolidato con il presidente del Consiglio.
L’unica new entry, Maurizio Bernardo, è certamente un uomo di Formigoni ma non di Cl e soprattutto è un azzurro della prima ora, sin dal 1993 quando Forza Italia non si chiamava ancora così. Le spinte decisive per lui sono arrivate da Giancarlo Abelli (che ha un filo diretto con il premier) e dalla coordinatrice regionale Mariastella Gelmini.

A contare il suo curriculum di uomo di partito e anche qualche rinuncia che ora più che mai fa pensare: ex coordinatore cittadino, un anno fa non si candidò alle regionali per rispettare una circolare di Forza Italia sull’incompatibilità. A buon intenditor poche parole.

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