Mario Attanasio
da Milano
Giulio Tremonti rafforza i poteri di Bankitalia. E affida al governatore Mario Draghi il compito di dettare le regole sul «conflitto di interessi»: via Nazionale potrà infatti abbassare le soglie «standard» che di norma limitano al 15% la presenza delle imprese nel capitale delle banche. E così, dopo aver sensibilmente assottigliato, con la legge su risparmio, le competenze dell'istituto di vigilanza, spostando all'Antitrust la concorrenza bancaria, il ministro dell'Economia mette sul tavolo una sorta di compensazione. E lo fa attraverso alcune delibere del Cicr (il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) approvate lo scorso 22 febbraio, proprio nella riunione marcata dal debutto di Draghi. Tre provvedimenti, resi noti in questi giorni, che sembrano fare da sigillo al nuovo corso dei rapporti, divenuti senza dubbio più distesi e di collaborazione, tra lo stesso Tremonti e Bankitalia, dopo l'uscita di scena di Antonio Fazio e l'avvento del nuovo governatore.
Quella dei maggiori poteri a via Nazionale, comunque, non è la sola novità contenuta in questi decreti, resi necessari anche alla luce delle nuove norme sul risparmio varate poco dopo Natale. Complessivamente, dunque, è stata confermata la paventata stretta ai rapporti banche-imprese (come anticipato dal Giornale il 22 febbraio). Stretta riconducibile principalmente a un'altra misura approvata dal Comitato per il risparmio che porta al 20% del patrimonio di una banca il limite massimo per i crediti, cioè il livello di indebitamento che gli azionisti di un istituto o i sottoscrittori di patti di sindacato possono detenere nei confronti della banca stessa. L'asticella è stata alzata un bel po, basti pensare che prima era esattamente la metà (10%). Si tratta di una barriera che riguarda i finanziamenti concessi alle cosiddette «parti correlate», in sostanza i top manager e gli azionisti che hanno una partecipazione rilevante al capitale di una banca. Un limite, quello fissato dal Comitato interministeriale, che riguarda pure quelle imprese che, magari attraverso una quota di minoranza, sono comunque in grado di nominare almeno un membro dei consigli d'amministrazione di un istituto creditizio o della società capogruppo.
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