Il governo attacca i call center per cancellare la legge Biagi

Il sottosegretario Cento: «Tutti i dipendenti vanno assunti. Basta contratti a progetto»

da Roma

I call center diventano un’altra mina sulla credibilità del governo. Gli ispettori del ministero del Lavoro hanno «scavalcato» a sinistra il titolare diessino del dicastero, Cesare Damiano, obbligando (per il momento) la Atesia, ed in futuro, tutte le aziende del comparto, ad assumere a tempo indeterminato i dipendenti. Nella sostanza, superando la Legge Biagi e la stessa circolare del ministro del 14 giugno scorso. Circolare che prevedeva una graduale trasformazione (e non per tutti i dipendenti dei call center) del rapporto di lavoro: dal tempo parziale (od a contratto) a tempo indeterminato.
Damiano ha ingaggiato un braccio di ferro con i suoi ispettori. Ha detto che per lui resta valido il testo della circolare, smentendo le conclusioni degli ispettori. Contro il ministro si sono scagliati sia da sinistra sia da destra. Critica Damiano Paolo Cento: bisogna cancellare la Legge Biagi e tutti i dipendenti dei call center - ha detto il sottosegretario all’Economia - devono essere assunti; superando, in tal modo, la stessa circolare del suo collega di governo, che differenziava il tipo di contratto a seconda della tipologia di mansione all’interno di un call center.
Sulle stesse posizioni del sottosegretario, Pino Sgobio, capogruppo dei Comunisti italiani alla Camera. Posizioni non condivise da Daniele Capezzone. Il presidente della commissione Attività produttive della Camera ha invitato il ministro a non creare disparità di trattamento fra un’azienda ed un’altra. «Sarebbe un fatto grave - ha precisato il segretario dei Radicali italiani - che altererebbe mercato e concorrenza». Per le Acli, invece, è indispensabile «rispettare la dignità dei lavoratori e distinguere il vero lavoro a progetto da quello subordinato». Contro il ministro, invece, ma da posizioni opposte, Maurizio Gasparri ed Adolfo Urso, di Alleanza nazionale. La legge Biagi non dev’essere cancellata, ha detto Urso. Mentre Gasparri ha sottolineato come le decisioni di Damiano rischino di far diventare il suo dicastero come il ministero della disoccupazione.
Già perché il rischio reale è che se la linea degli ispettori (sostenuta da Cento) dovesse passare per i lavoratori dei call center l’alternativa è il licenziamento. Per queste ragioni, Maurizio Beretta, direttore generale della Confindustria, ha ricordato al governo che «per poter operare le aziende hanno bisogno di un quadro di riferimento coerente e soprattutto di certezze. Niente di più lontano di quanto sta avvenendo nella vicenda dei call center». Ed ha aggiunto: «L’intervento dell’ispettorato del lavoro si sovrappone in maniera preoccupante a quanto è stato concordato, generando nelle aziende del settore incertezza e timori. È evidente - ha osservato - che lavorare in queste condizioni è molto difficile per qualunque impresa: un aspetto che sarebbe gravissimo sottovalutare».


Vale la pena di ricordare che nel saggio Il mondo è piatto il premio Pulitzer Thomas L. Friedman cita i casi dei call center come l’esempio più diretto di globalizzazione. Ricorda che molte aziende americane hanno i propri call center a Bengalore, in India. E quelle giapponesi in Cina.

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