"Governo dei poteri forti". Lo dice persino Emiliano

Col voto del Pd, il Consiglio regionale pugliese condanna il premier per i suoi stretti legami con le lobby più influenti

"Governo dei  poteri forti". Lo dice persino Emiliano

Roma - Non serviva certo la benedizione del nuovo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia per cogliere il legame che corre tra Palazzo Chigi e i cosiddetti poteri forti. Una vicinanza che esiste da tempo, persino da prima di quel 22 febbraio del 2014, giorno in cui Matteo Renzi si è seduto per la prima volta sulla poltrona di presidente del Consiglio. Così, il pubblico sostegno al referendum costituzionale di ottobre da parte dell'associazione degli industriali è solo l'ultimo tassello di un puzzle complesso, su cui proprio due giorni fa ha messo il timbro ufficiale pure una regione italiana. E cioè la Puglia di Michele Emiliano che ha approvato all'unanimità una mozione su «Politica e poteri forti» che al primo punto ci va giù piuttosto pesante: «Si impegna la giunta Emiliano a manifestare l'indignazione della Puglia al governo Renzi rispetto ad una politica di vicinanza ai poteri forti piuttosto che a cittadini deboli». Il provvedimento è stato presentato da Ignazio Zullo, capogruppo dei Conservatori riformisti, il partito fondato da Raffaele Fitto. Ma è stato votato anche dal Pd e soprattutto da Emiliano. D'altra parte, che tra il governatore della Puglia e Renzi non corrano buoni rapporti non è certo una novità, così ci può stare che l'ex sindaco di Bari abbia deciso di affondare il colpo sul premier, salvo poi cautelarsi durante il suo intervento in aula dove ha spiegato che «l'indignazione deve essere manifestata a tutti i governi del mondo». Parole effettivamente pronunciate, spiega il consigliere fittiano Francesco Ventola, «anche se Emiliano conosceva bene quale era il testo della nostra mozione». Presentata dai Conservatori riformisti ormai da alcuni mesi, «nel pieno - spiega il deputato pugliese Nuccio Altieri - della bufera Banca Etruria». E infatti nella mozione si punta il dito contro il decreto salva-banche, uno di quei provvedimenti che «i cittadini percepiscono come un processo di legalizzazione delle truffe ai danni dei creditori e dei risparmiatori».

Da mercoledì, dunque, il rapporto tra il governo e i cosiddetti poteri forti - dalle lodi continue di Sergio Marchionne alla vicinanza alle compagnie petrolifere, passando per il ruolo di Confindustria e il salvataggio delle banche - non è più solo motivo di polemica per l'opposizione, con Cinque stelle, Lega e Forza Italia in prima fila. Ma diventa anche ragione di guerriglia interna al Pd. Il tema, d'altra parte, è argomento di dibattito da tempo nella minoranza dem che certo non vede di buon occhio la filiera di riferimento di Renzi. È nelle cose, dunque, che Emiliano abbia voluto lanciare un segnale.

Anche se ieri il governatore sembrava voler gettare acqua sul fuoco, forse per evitare di aprire un fronte così importante a dieci giorni dalle elezioni amministrative. Tanto che pure sul referendum di ottobre ha preferito glissare: «Come voterò? Cambiamo argomento...», ha risposto ieri ai cronisti che lo hanno incrociato a Montecitorio.

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