IL GOVERNO DELLE TESTE CALDE

Il nuovo governo ha scoperto la priorità. Chi ce l’ha ce l’ha e chi non ce l’ha si arrangi. Tra le priorità della maggioranza, bisognosa d’un numero sterminato di poltrone, anche lo sdoppiamento del dicastero dei Trasporti: affidato nel suo ramo principale - le inventate Infrastrutture - ad Antonio Di Pietro e nel suo ramo cadetto - i Trasporti, appunto - ad Alessandro Bianchi, in quota al partito comunista di Diliberto. Non appena ha avuto i galloni ministeriali il Bianchi s’è affrettato a dire la sua non su un problemino secondario, ma sul tema delle Grandi opere, e in particolare della massima opera, il ponte sullo Stretto di Messina. Quel ponte, studiato per decenni e poi approvato da falangi di esperti eminenti, è secondo il Bianchi una sciocchezza. Lui ha già in mente appositi espedienti grazie ai quali la Sicilia sarà collegata al continente pur restandone scollegata.
La sortita dilettantesca del nostro, che ha suscitato sconcerto anche in settori del centrosinistra, poteva, dallo stesso centrosinistra, essere lasciata cadere. I novizi hanno zeli deleteri. Invece no, Piero Fassino in persona ha plaudito alla chiarezza del Bianchi - sulla chiarezza non ci piove, anche l’eccentrico milanese Paneroni, convinto che la terra fosse piatta, era chiarissimo - e precisato che «la costruzione del ponte sullo Stretto non è tra le priorità».
Va male al ponte, non va bene alla Tav che pure aveva avuto tutti gli avalli tecnici e burocratici del caso, nonché l’appoggio d’amministrazioni di centrosinistra. Chi pone il veto? Lo pone un noto (si fa per dire) studioso di viabilità: il verde Paolo Cento che presidia una poltrona di sottosegretario all’Economia. Di rincalzo una signora di Rifondazione che è viceministro degli Esteri, Patrizia Sentinelli, ha sentenziato che la Tav non si farà.
È invece tra le priorità assolute - parola del ministro rifondatore della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero - la immediata regolarizzazione degli immigrati che si trovano in territorio italiano, inclusi i clandestini, e l’abolizione dei Cpt (centri di permanenza temporanea). Paolo Ferrero, come tutti i suoi colleghi di utopia continua, non è sfiorato da dubbi. Giorgio Napolitano, cui la militanza comunista non ha mai vietato espressioni di grande sensatezza, fu di diverso avviso, in tempi recenti. Affermò che «non c’è alcuna alternativa ai Cpt tant’è che non c’è alcuna proposta se non quella di chiuderli senza sostituirli con nulla». Il che conferirebbe all’Italia un ruolo di contenitore ideale per le masse affamate, sbandate, esposte all’arruolamento nella delinquenza, che premono per entrare in Europa. Il fenomeno è importante e inquietante, l’Europa vuol controllarlo per evitare che degeneri (il che si prefigge anche la normativa Bossi-Fini), ma Ferrero è d’avviso opposto. Bolla il sistema delle quote come «infimo», forse, per lui, un sinonimo di infame.
Le sparate delle teste calde che hanno trovato sistemazione nel governo della Repubblica sono criticate, lo ripeto, anche nelle file del centrosinistra. Ma con timidezza, perché bisogna a ogni costo salvaguardare la «coesione» (il termine piace immensamente a Prodi) di questo esercito di Franceschiello (con tante scuse a Franceschiello e ai suoi armigeri).

Purtroppo i generali del citato esercito hanno in mano le sorti del Paese, e lanciano i loro gridi di battaglia non contro lo schieramento avverso, ma contro ponti, strade, ferrovie; contro la nostra possibilità di vivere in sicurezza. Abbiamo anche noi, nel nostro piccolo, qualche modesta priorità. Ad esempio che vengano fermati in tempo i nemici dell’Italia come Paese moderno. Speravo lo facesse Fassino, per cui ho stima. Sbagliavo.

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