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"Il governo eviti furie ideologiche"

L’ex ministro dello Sviluppo: "Il Pdl pronto a collaborare, ma non vanno difesi lobby e privilegi"

"Il governo eviti furie ideologiche"

Roma - Niente «furie ideologiche», ma neppure «chiusure corporative»: il Pdl è pronto a dare il proprio contributo in positivo alla fase 2 e al rilancio delle liberalizzazioni. A patto che nessuno voglia «buttare via il modello sociale italiano», e che si guardi ai risultati concreti e ai «reali benefici per i cittadini». Parola di Paolo Romani, ex ministro allo Sviluppo economico e oggi responsabile delle politiche industriali del Pdl.

Sulle liberalizzazioni il Pdl sembra per ora attestato in difesa di molte delle categorie che potrebbero essere toccate, dai tassisti alle farmacie al commercio. Vi metterete di traverso?
«Martedì ci sarà una riunione di partito, nella quale definiremo le nostre posizioni. Non vanno difesi lobby e privilegi, ma non deve neppure essere stravolta la struttura sociale italiana, che è diversa da altri modelli di società. C’è chi vorrebbe di colpo spingere gli italiani a vivere in un modo diverso da quello che la nostra tradizione e cultura ha sedimentato».

Ci faccia capire meglio: al nostro paese non serve una forte iniezione di liberalizzazioni?
«Dipende da come vengono fatte. Le liberalizzazioni già avvenute nel trasporto aereo e nel settore energetico hanno portato vantaggi ai cittadini? A mio parere no. Se si esclude il settore low cost, i voli continuano ad essere pagati a caro prezzo. E l’energia ha un costo altissimo. In Francia, dove con l’84% del mercato il monopolio pubblico è praticamente assoluto, costa un terzo. Quindi il problema non è la liberalizzazione, ma il modo di produrre energia. Oppure prenda il settore postale: la società italiana è a bassa urbanizzazione. E in ogni paesino lo Stato è presente con un ufficio postale, che diventa anche un luogo di aggregazione. Se si aprisse il mercato postale e arrivasse in Italia Deutsche Post, per dire, se ne fregherebbe dei paesini e si concentrerebbe solo sui grandi centri, come Roma o Milano. Per i cittadini sarebbe uno svantaggio, non una crescita».

Anche liberalizzare farmacie o distributori secondo lei danneggia il cittadino?
«Sui carburanti vorrei ricordare che fu il nostro governo, con l’articolo 28 della manovra di luglio, ad aprire il mercato incentivando le “pompe bianche” e il self service. Oggi vedo che il nuovo governo vorrebbe permettere ai distributori di approvvigionarsi da chi vogliono: non mi pare che stia in piedi. È come se si dicesse ai concessionari Fiat che possono vendere anche Audi o Bmw: con l’unico risultato che la Fiat chiude il concessionario, e tanti saluti. Quanto alle farmacie, non vorrei che la liberalizzazione portasse al fatto che se il mio bambino ha mal di gola invece dello sciroppo per la tosse consigliato dal farmacista gli si affibbia un antibiotico che magari ha un più largo margine di guadagno».

Niente poste, niente farmacie, a sentire Alemanno o Gasparri niente taxi o negozi aperti di notte: insomma, niente liberalizzazioni?
«Vanno fatte. Ma non devono essere solo una bandiera o una battaglia ideologica: bisogna verificarne l’efficacia in base al modello italiano. Anche perché Germania e Francia, che ora ci pungolano, sono paesi che si sono sempre tenuti ben stretti i loro monopoli statali e hanno liberalizzato assai poco. Io sono disposto a parlare di tutto: non solo negozi e taxi, ma anche ordini professionali, banche, servizi pubblici locali. Peccato che qualcuno, che oggi invoca le liberalizzazioni, solo qualche mese fa abbia fatto un’accanita campagna per tornare all’acqua pubblica... Se ora si vuole bypassare quel referendum, ben venga. Ma voglio vedere come lo spiegherà il Pd. Così come spero che per il nuovo governo il settore delle banche non sia tabù: anche lì ci sono sacche di privilegio da intaccare».

Ha altre ricette da suggerire?
«Il primo capitolo da affrontare è quello dell’accesso al credito. È quello il primo, grande motore dello sviluppo. La nostra legge di stabilità imponeva alle amministrazioni locali di certificare i loro debiti con le imprese, in modo che le imprese potessero scontarli in banca. Tremonti, forse perché non fece in tempo, non ha fatto il decreto attuativo. Spero che Monti ponga rimedio».

A proposito di Tremonti, il vostro ex ministro è rispuntato fuori a dare le sue ricette...
«Non vorrei riesumare antiche polemiche. Certo non ho un ricordo positivo degli ultimi mesi al governo con lui. E so che se Tremonti ce lo avesse consentito, il nostro esecutivo avrebbe potuto fare ben altro per affrontare la crisi.

Nella manovra di Monti c’erano tante cose che avrebbero potuto essere fatte prima da noi, se il ministro dell’Economia, col suo accanimento eccessivo, non ce lo avesse impedito».

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