«Il governo non fa niente per allentare le tensioni»

«In Egitto è evidente la presenza dell’islam politico e fanatico che genera ostilità contro i cristiani e il governo non fa abbastanza per far valere le leggi e arrestare i colpevoli». Così Youssef Sidhom, copto e direttore di al Watani, settimanale cristiano del Paese, spiega la strage di Nagaa Hamadi, villaggio del Sud dell’Egitto, a 64 chilometri dalla turistica Luxor, dove la notte di Natale (i copti celebrano la festività il 7 gennaio), almeno otto fedeli cristiani e un poliziotto musulmano sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco all’uscita della messa di mezzanotte. Sono seguiti scontri tra i cristiani in protesta e le forze di polizia.
Molti cristiani stanno lasciando regioni del Medio Oriente a causa degli attacchi contro le comunità locali. Che cosa succede in Egitto?
«Lo stesso è accaduto in Egitto negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. C’è stata l’emigrazione di massa dei cristiani a causa di ondate di violenza legate all’irrobustirsi del fondamentalismo islamico. Ora, invece, ci sono scontri periodici».
Da cosa deriva il clima d’odio?
«In Egitto è presente un islam politico e fanatico. L’ostilità contro le minoranze cristiani nasce da qui».
Per le autorità, l’attacco di ieri è una vendetta per il presunto stupro di una bimba musulmana da parte di un cristiano, a novembre.
«Non può essere vero. Qualsiasi cosa sia successa a novembre, aveva già innescato violenze. I copti della zona hanno ricevuto una punizione di massa ed è stato abbastanza: le loro case e le loro chiese sono state date alle fiamme (a novembre, nell’area ci sono stati scontri durati cinque giorni tra musulmani e cristiani, ndr). La questione non può certo riaccendersi dopo due mesi. È una scusa utilizzata dalle autorità ed è inaccettabile. E l’attacco è arrivato proprio il 7 gennaio, la data è simbolica: gli spari erano diretti contro la congregazione che celebrava il Natale».
Il governo egiziano cosa fa per diminuire le tensioni?
«Lascia la situazione deteriorarsi. Le forze di sicurezza lanciano segnali sbagliati ogni volta che non implementano le leggi o tardano ad arrestare i colpevoli».
Come dovrebbero dunque agire le autorità per favorire le relazioni interreligiose?
«Potrebbero evitare le ostilità all’origine e implementare le leggi dopo i crimini: fare del loro meglio per arrestare i perpetratori e per raccogliere informazioni. Ma nella maggior parte dei casi i criminali sono rilasciati per mancanza di prove».
C’è dibattito sulla questione nel Paese o è ancora un tabù?
«Sì, ne parlano i mass media governativi ma soprattutto quelli privati.

Dopo i violenti fatti di Alessandria nel 2005 (sette chiese furono attaccate e ci furono quattro morti, ndr) ci sono state anche alcune manifestazioni. Ormai l’opinione pubblica egiziana è consapevole della situazione».

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