Non ce ne siamo ancora accorti ma cè un nuovo soggetto politico nel nostro paese. Se ne erano colti i primi segnali a Vicenza, alla manifestazione romana sui Dico quei segnali si sono trasformati in una consacrazione formale. «Siamo qui per ascoltare e tener conto della piazza», hanno ripetuto in coro i tre ministri schierati in vetrina sul palco. La piazza, non certo la società nel suo insieme. E hanno mantenuto limpegno, ascoltando, assecondando e condividendo tutto quello che la piazza diceva: anche gli insulti contro il Vaticano e gli adesivi contro il Papa, anche le offese alla Cei e i fischi di scherno a Clemente Mastella e ai cattolici del «no» al disegno di legge sulle coppie di fatto. Proprio come altri esponenti del governo avevano ascoltato, assecondato e condiviso, non molto tempo fa, i cori e le bandiere contro gli Stati Uniti e la Nato sullampliamento di una base militare.
Non è servito lappello di Napolitano che ha invitato responsabilmente a distinguere tra il ruolo della protesta e il ruolo dei partiti e del Parlamento. Con la manifestazione di Roma e la presenza complice e partecipe di quei ministri sul palco, per la prima volta nella storia della Repubblica i «movimenti di piazza» con tutto il loro carico fisiologico di intolleranza, di faziosità e di settarismo sono entrati a far parte a pieno titolo delle istituzioni. In una democrazia compiuta, i partiti guidano e indirizzano gli umori della piazza, non se ne fanno guidare e non se ne servono pedissequamente per legittimare i loro obiettivi politici come succede nei paesi del fondamentalismo islamico dove si radunano e si istigano le folle ogni volta che un governo avverte il bisogno di rafforzare la propria identità e rilanciare la propria azione. In Italia, in pochi mesi, dai partiti di lotta e di governo, si è passati alla piazza di governo ed è un passaggio di cui dovrebbe essere persino inutile sottolineare la pericolosità, tanto più in una società divisa e attraversata, come la nostra, da profonde inquietudini.
Allindomani della sua nomina a presidente della Conferenza episcopale, Angelo Bagnasco ribadendo la ferma opposizione della Chiesa alla legge sui Dico, ci ha ricordato che la libertà individuale non è un bene assoluto poiché ogni individuo vive in relazione con gli altri, chiedendo rispetto per le posizioni della Chiesa. Parole aperte e generose che dovrebbero aprire un dialogo nuovo tra cattolici e laici ma il ministro Bindi ha già risposto che la Chiesa deve solo «evitare ingerenze e anatemi», una eco neanche troppo mascherata degli slogan e delle grida che risuonavano nella piazza della capitale mobilitata per i Dico. E se monsignor Bagnasco ci richiama alla verità della persona come un percorso di ricerca laborioso e sofferto da fare tutti insieme, altri ministri e altri politici della maggioranza gli contrappongono senza mezzi termini unaltra verità molto più semplice e a portata di mano: la verità della piazza, lunica, dicono, in grado di svelare le contraddizioni, le ambiguità e le incertezze della politica.
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