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Il governo si dimette. E Assad tenta di placare i siriani

Damasco Dopo quasi due settimane di proteste contro il regime baathista degli Assad con scontri fra manifestanti e forze di sicurezza e oltre 150 morti, la giornata di oggi potrebbe essere cruciale per la Siria che verrà. Il presidente siriano Basher al Assad è atteso per un importantissimo discorso davanti al Parlamento all’indomani delle dimissioni dell’esecutivo di Mohammed Nahi al Otari, che era in carica dal 2003. Il governo di Otari lascerà definitivamente i poteri quando sarà formato un nuovo esecutivo, del quale è probabile che dia annuncio Assad nel suo discorso.
Il presidente dovrà illustrare il suo pacchetto di riforme, annunciando una serie di aperture, a cominciare dalla revoca dello stato d’emergenza in vigore da ben 48 anni e dalla riforma della legge sui partiti e sui mezzi d’informazione. Ma non solo, la sua super consigliera Buthaina Shaaban aveva parlato di aumenti «tra il 20% e il 30%» per i dipendenti pubblici, e più in generale il governo si sarebbe impegnato a misure per migliorare la condizione dei più poveri.
Fino ad oggi il regime siriano ha continuato ad usare il pugno di ferro contro la rivolta con morti e arresti di massa. Simbolo della rivolta la cittadina di Deraa, 130 chilometri a sud della capitale, vicino al confine giordano, dove centinaia di persone sfidando il divieto di manifestare si erano accampate dentro e fuori la moschea di Omari, assaltata nella notte di martedì scorso dalle forze di sicurezza, con un bilancio che supera i 50 morti secondo le associazioni per la difesa dei diritti umani. Il giorno seguente l’esercito ha mandato le sue truppe per accerchiare la città con posti di blocco. Ma né queste, né l’annuncio di misure di apertura erano riusciti ad affievolire la rivolta che si era nel frattempo estesa a Latakia, Homs, Sanamein arrivando fino alla blindatissima Damasco. Anche lunedì non sono mancate le violenze con le forze di sicurezza siriane che hanno aperto il fuoco a Deraa su centinaia di dimostranti che inneggiavano a favore dell’abrogazione della legge di emergenza.
Intanto ieri a Damasco e in molte altre città siriane il regime ha portato in piazza decine di migliaia di sostenitori con bandiere nazionali e i poster di Assad. Le autorità siriane, per confondere l’opinione pubblica internazionale, avevano nei giorni scorsi accusato gli islamisti di esasperare la divisione settaria già molto forte in Siria, Paese a maggioranza sciita ma con una grande comunità di cristiani, drusi e alawiti. Sabato per allentare la tensione il governo ha liberato oltre 250 detenuti politici, la maggioranza dei quali islamisti, dalla prigione militare di Saydnaya.

Tutte misure che farebbero pensare a un allentamento del potere del partito baathista e forse degli stessi Assad, che hanno controllato con pugno di ferro il Paese alleato del regime sciita iraniano contro l’Occidente e Israele e ribattezzato «il regno del silenzio». Ma forse solo oggi i siriani sapranno quale sarà il loro futuro.

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