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L’ottimismo di Nordio sul referendum. Legge elettorale, voci sui dubbi del Colle

Il ministro: "Il fronte del No ora ha paura". Rotondi riferisce lo scetticismo di Mattarella

L’ottimismo di Nordio sul referendum. Legge elettorale, voci sui dubbi del Colle

Nel corridoio dei passi perduti, quel luogo pieno di ricordi che è nell'ala di Palazzo Montecitorio opposta al Transatlantico, il guardasigilli Carlo Nordio nel pomeriggio di martedì scorso ragiona sul referendum sulla giustizia, ultimo step elettorale di primavera che aprirà la volata per le elezioni politiche del 2027. «Da quanto ne so - confida - è il fronte del No ad avere paura. Bisognerà vedere come imposteranno la campagna. Non credo che la Anm la politicizzerà, ha solo da rimetterci. Se invece sarà l'opposizione a farlo per dare la spallata al governo, allora noi non faremo più la campagna sui contenuti della riforma ma sulla condizione della giustizia in Italia. Tireremo fuori Garlasco e tutto il resto».

I due schieramenti si studiano. Entrambi sanno benissimo che chi vincerà il referendum avrà un trampolino di lancio per le politiche e chi lo perderà un handicap che potrebbe rivelarsi fatale. Entrambi sono tentati di politicizzarlo, ma entrambi hanno il timore di sbagliare i calcoli. Tant'è che sia la Meloni, sia la Schlein si tengono lontane dall'argomento. Solo che il trionfalismo della sinistra dopo le elezioni di domenica e, sull'altro versante, la scelta di maggioranza e governo di mettere sotto i riflettori legge elettorale e premierato finiscono a di là delle intenzioni degli attori per «politicizzare» l'appuntamento. È nelle cose. Così si assiste al festival delle accuse reciproche. «Se metti tanta carne al fuoco - osserva Nicola Zingaretti - non puoi pensare che il referendum non si politicizzi». «Vogliono costringerci - rimarca il vicesegretario Provenzano - ad una campagna elettorale permanente da qui alle Politiche». Mentre Piero Fassino, dall'alto della sua esperienza, sente puzza di trappola. «Lo fanno - spiega - perché sono sicuri di vincere il referendum, basta guardare i sondaggi, e dalla vittoria sperano di ricevere la spinta necessaria per fare la legge elettorale e avviare riforma del premierato». Un'intuizione non del tutto errata visto che il capogruppo dei deputati azzurri, Paolo Barelli, ammette: «Prima erano loro voler politicizzare il referendum, ma visto il mood che c'è nel Paese sulla giustizia quasi quasi conviene a noi». Il problema vero è che le questioni - referendum, legge elettorale e premierato - si intrecciano e si mescolano per mille ragioni che coinvolgono maggioranza, opposizione e Quirinale. Racconta Gianfranco Rotondi, ex dc che ha trovato posto alla corte della Meloni: «Giorgia è costretta a mettere all'ordine del giorno la legge elettorale. Mattarella è stato chiaro in un incontro che ha avuto con gli ex parlamentari al Quirinale: Non permetterò - gli ha detto - che si faccia una legge elettorale a ridosso del voto. Abbiamo avuto l'esperienza del mattarellum che fu approvato poco prima dell'elezioni (sei mesi prima, ndr.) e diversi partiti arrivarono alle urne impreparati. Bisogna dare il tempo alle forze politiche di organizzarsi e prepararsi al nuovo sistema. E io - rimarca Rotondi - sono d'accordo con il capo dello Stato». Se bisogna però dare il tempo ai partiti di prendere le misure bisogna approvare la nuova legge almeno un anno prima delle elezioni politiche che tutti datano la primavera del prossimo anno. E la situazione si complica. Anche perché l'ipotesi di un sistema basato su proporzionale e premio di maggioranza al 40% riscuote l'ostilità, più o meno nascosta, di molti. Anche al Quirinale c'è chi ha dubbi. L'ex segretario dei popolari, Pierluigi Castagnetti, che sale spesso sull'ermo Colle sempre martedì scorso spiegava in una conversazione a piazza Montecitorio: «È una legge fuori dal mondo, se si dà un premio a chi prende il 40% e si ha a che fare con un'astensione del 60%, chi vince con il 20% dei voti reali si prende il Paese e tutte le sue istituzioni. E per favore non mi tirate fuori questa menata della legittimazione reciproca. La verità è che gli regaliamo tutto». L'aria che tira, è scontato, si ripercuoterà sulla campagna referendaria. «Eppure - si lamentava Nordio in quella conversazione nel corridoio dei passi perduti - bisognerebbe capire che la riforma è quasi un atto dovuto visto che completa la riforma Vassalli che era monca. Tanti anni fa lo dissi allo stesso Vassalli, osservando che non si poteva introdurre il rito accusatorio senza una riforma costituzionale. Mi rispose che all'epoca i partiti vollero subito la riforma e lui fu costretto a cedere. Solo che in questo modo il pm è diventato il capo della polizia giudiziaria e ha mantenuto le garanzie del giudice. Almeno negli Usa deve rendere conto ai cittadini che lo eleggono. Mentre in Inghilterra dove è indipendente non è il capo della polizia giudiziaria. La verità è che la riforma di oggi serve solo a definire meglio i ruoli e a rendere i Pm davvero responsabili delle loro azioni di fronte a qualcuno e non ad un Csm in cui giudici e pubblici ministeri si scambiano favori.

Mi ricordo che quando la riforma Vassalli fu approvata Pierluigi Vigna, il più grande pm che abbia mai conosciuto, disse: Così si dà un enorme potere ai pm. Da lì a qualche anno si arrivò a tangentopoli e alle sue storture!». Ricordi.

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