Con Sangiuliano e gli altri partiti rapporto logoro. Meloni decide di "sminare" il caso. Deleghe ad interim

Il caso Sgarbi si sgonfia con il passo indietro del sottosegretario

Con Sangiuliano e gli altri partiti rapporto logoro. Meloni decide di "sminare" il caso. Deleghe ad interim
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Il caso Sgarbi si sgonfia con il passo indietro del sottosegretario. Il critico d'arte sceglie l'evento milanese «La Ripartenza- liberi di pensare», organizzato da Nicola Porro, per annunciare l'addio al governo Meloni. È una separazione carica di veleni. L'ormai ex numero due della Cultura si scaglia contro il «suo» ministro Gennaro Sangiuliano (che si trova a Parigi): «Non sento il ministro dal 23 ottobre, del resto non posso sentire una persona che riceve una lettera anonima e la manda all'Antitrust. Le lettere anonime si buttano via, gli uomini che hanno dignità non accolgono le lettere anonime. L'Antitrust dice: Dalle lettere anonime che abbiamo ricevuto?. Le ha inviate il ministro».

Nel giorno dell'addio Sgarbi ringrazia il premier Meloni: È garantista, non ha chiesto le mie dimissioni». Ora le deleghe dell'ex sottosegretario, se Meloni accetterà le dimissioni, passeranno nelle mani del ministro Sangiuliano. Sulla scelta di un possibile successore, da Palazzo Chigi frenano. Trapela, invece, l'intenzione di non rimpiazzare il critico. D'altronde è la linea già seguita in occasione delle dimissioni dell'ex sottosegretaria all'Università Augusta

Montaruli, dopo la condanna nel processo a Torino. Non vi sarà, dunque, nell'immediato alcun mini rimpasto per sostituire Montaruli e Sgarbi. Tutto è rinviato a dopo le Europee. Quando con ogni probabilità si farà largo un rimescolamento di governo più ampio. La decisione delle dimissioni è maturata nell'ultima settimana. Dopo l'ultima puntata di Report e la reazione scomposta di Sgarbi si è materializzata la spinta decisiva del premier. Le dimissioni servono al presidente Meloni per mettere l'esecutivo al riparo da attacchi in arrivo, non solo dal fronte dell'opposizione ma soprattutto dall'interno della maggioranza. A difendere Sgarbi erano rimasti solo i parlamentari di FdI. Dalla Lega era partita l'offensiva a bassa intensità. Il numero due del Carroccio, Andrea Crippa, aveva bollato i comportamenti di Sgarbi come «inopportuni». Rimbrotti erano giunte anche da Forza Italia con i malumori di Flavio Tosi, vicino a Licia Ronzulli. E Meloni ha voluto, con la mossa delle dimissioni, togliere un'arma di tensione ai suoi alleati. E soprattutto alle opposizioni, che già preparavano il secondo round in Parlamento con la mozione di censura il cui voto è stato rinviato al 15 febbraio.

Proprio la spaccatura nel centrodestra aveva

suggerito, nella seduta di lunedì 29 gennaio, il rinvio della votazione sulla mozione di censura. Un capitolo a parte merita il rapporto, mai sbocciato, tra Sgarbi e Sangiuliano. Il ministro ha scaricato il suo sottosegretario subito. Già prima dell'inchiesta sul presunto furto del dipinto. La rottura s'era consumata dopo le denunce sull'accusa di conflitto d'interesse a Sgarbi con Sangiuliano che aveva trasmesso le lettere anonime all' Antitrust.

Però al netto della sfiducia del ministro, in questi mesi Sgarbi ha goduto del sostegno del presidente del Consiglio. Appoggio che sarebbe venuto meno nell'ultima settimana per una ragione superiore: «disarmare» opposizioni e alleati.

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