Al termine di una giornata convulsa, in serata è arrivata una nota di chiarimento del ministero dell'Economia sulla nuova imposta per gli extra-profitti delle banche. Il dicastero di Giancarlo Giorgetti ha specificato che la misura è «sulla scia di norme già esistenti in Europa». Al tempo stesso, «ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1% del totale dell'attivo». Secondo Banca d'Italia, a maggio le banche italiane avevano attivi per 3.952,6 miliardi. Pertanto, con un conto approssimativo, al momento la misura non potrebbe superare i 3,95 miliardi. E, fonti vicine al governo, ribadiscono che il gettito atteso sarà vicino ai 2 miliardi.
Un dato, quello sul tetto massimo, che probabilmente non conoscevano gli autori di report che stimavano un macigno sugli utili fino al 50% per le banche meno grandi. Gli esperti di Ubs stimavano un'erosione dei profitti dal 10-15% circa per Unicredit e Mediobanca, fino al 45-50% circa per Banca Mediolanum e Bper, con Intesa Sanpaolo, Fineco e Banca Generali tra il 20-25% e Banco Bpm inferiore al 35 per cento. Per Jp Morgan l'impatto sugli utili netti sarebbe del 31% per Intesa San Paolo e Banco Bpm e del 12% per Unicredit. Stime poco rassicuranti che hanno fatto deflagrare il titolo di tutte le banche quotate a Piazza Affari: Bper ha perso il 10,9%, Mps il 10,8%, Fineco il 9,9%, Bpm il 9%, Intesa Sanpaolo l'8,6% e Unicredit il 5,9 per cento. In totale, in un solo giorno gli istituti hanno perso 9,5 miliardi capitalizzazione. La paura del mercato era che la nuova misura, pensata per finanziare il fondo per i mutui sulla prima casa e la riduzione della pressione fiscale, erodesse in modo consistente i profitti delle banche. In molti quindi hanno venduto i titoli in Borsa per paura di perdere i guadagni realizzati nei mesi precedenti.
Ieri, un comunicato di Palazzo Chigi ha chiarito meglio alcuni parametri. In sintesi, questa imposta avrà carattere straordinario, quindi si pagherà solo una volta ed entro i primi sei mesi del 2024. Non sarà deducibile dall'imposta sui redditi o da quella regionale sulle attività produttive. Consisterà in un prelievo del 40% che userà come base di calcolo il margine di interesse, ovvero la differenza tra gli interessi che la banca incassa dai prestiti che concede e interessi attivi pagati per la raccolta, tra cui quelli riconosciuti ai correntisti. A ogni banca si applicherà «un'aliquota pari al 40% sul maggior valore» tra: il margine d'interesse relativo all'esercizio 2022, redatto secondo le regole di Banca d'Italia, «che eccede per almeno il 5% il medesimo margine nell'esercizio antecedente a quello in corso all'1 gennaio 2022»; il margine di interesse relativo all'esercizio 2023 «che eccede per almeno il 10% il medesimo margine nell'esercizio antecedente a quello in corso all'1 gennaio 2022». Il prelievo non ci sarà se il margine è cresciuto meno per entrambe le soglie.
I paletti del 5 e 10% sono emersi dal comunicato di Palazzo Chigi, dopo che nella serata di lunedì erano trapelate sui giornali soglie del 3 e del 6% sulle quali si basano gran parte delle stime degli analisti.
Potrebbero esserci poi altri dettagli da chiarire alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Motivo per cui la Fabi e il suo segretario generale Lando Maria Sileoni, così come molte banche, hanno deciso di astenersi dal commentare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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