Goya, il mondo moderno senza filtro

Nacque e morì povero. Dalla dura e isolata terra natìa d'Aragona alla corte di Spagna fino all'esilio di Bordeaux, condusse una vita faticata, godette di grandi favori e fu vittima di altrettante disgrazie. La sordità che lo isolava dai suoni del mondo forse rese più acuta la sua percezione della realtà. Una realtà per lo più tragica, grottesca, assurda, addirittura atroce, qualcosa che «No se puede mirar», come è scritto sotto uno dei suoi Desastres de la guerra.
Francisco Goya y Lucientes (Fuendetodos 1764 - Bordeaux 1828) ebbe il coraggio di guardare. Fino in fondo, fino all'inguardabile, fino ad affondare negli occhi sbarrati di chi un attimo dopo verrà fucilato (La fucilazione del 3 maggio 1808). In realtà «Goya non vide il plotone dei soldati francesi far fuoco quella notte contro i prigionieri terrorizzati, ma nessuno prima di lui aveva dipinto davvero il panico di chi sta per morire». Lo scrive Antonio Muñoz Molina nel saggio in catalogo (Skira) per la mostra che si apre martedì 16 a Palazzo Reale. E a questo sguardo, capace di raccontare la realtà come nessuna cronaca è in grado di fare, che Goya deve la sua fama ecumenica. Nessuno prima di lui ebbe questa forza grottesca e surreale nel narrare gli orrori di cui l'uomo è capace; nessuno come lui ha saputo anticipare la maledizione che segnerà il Novecento, il «secolo breve» delle carneficine. La rassegna di palazzo Reale (Goya e il modo moderno), promossa dall'assessorato alla Cultura del Comune di Milano e dalla Sociedad Estatal para la Acciòn Cultural Exterior spagnola, curata da Valeriano Bozal e da Concepciòn Lomba, in occasione del semestre di presidenza spagnola dell’Unione Europea, vuole proprio sottolineare quanto l'angosciata espressività del mondo moderno sia debitrice all'arte di Goya. E lo fa mettendo a confronto 80 opere del pittore aragonese con un centinaio di opere di artisti moderni e contemporanei: Picasso, Rouault, Bacon, Munch, Grosz, Klinger, Saura, Pollock, De Kooning. Tutti suoi ideali allievi, partendo da quell'Urlo di Munch, divenuto il simbolo dell'angoscia che domina la modernità. La mostra è suddivisa in cinque sezioni, ognuna delle quali pone Goya a ideale punto di partenza per i temi che verranno sviluppati dagli artisti venuti dopo di lui. Così nella prima sezione (Il lavoro del tempo. I ritratti) alcuni capolavori goyeschi (Asensio Julià, Ritratto del duca de San Carlos, La contessa de Haro, per citarne alcuni) documentano l'allontanarsi dell'artista dalla ritrattistica idealizzata dell'epoca per restituirci persone reali, segnate dal tempo e dalle vicissitudini che arrivano a trasformare i volti in tragiche maschere. Come farà Francis Bacon, di cui sono esposti i Tre studi per un ritratto di Peter Bear.
Nella seconda sezione (La vita di tutti i giorni) ecco la folla degli umili che lavorano e faticano fino allo sfinimento, che soffrono e lottano: contadini, braccianti, carrettieri, viandanti, mendicanti, vittime dell'Inquisizione. Implacabile, lo sguardo del pittore porta sulla tela il male di vivere. La terza sezione (Comico e grottesco) espone le caricature alle quali il genio di Goya deve la sua fama, come quel Ballo in maschera che sferza le miserie umane e in nuce contiene il tratto graffiante di Grosz, di Dix, di Klinger, di Kubin. La violenza è il tema della quarta sezione dominata da capolavori assoluti come La decapitazione e Il rogo la cui forza allucinata influenzerà Soutine, Guttuso, Solana, Picasso (La fucilazione non è in mostra).

Nell'ultima sezione (Il grido) è il dolore a prorompere, esemplificato dalle tinte cupe del Cristo nell'orto degli ulivi, la bocca spalancata ad esprimere un'angoscia sovrumana. Tracce di questa pittura nera e tormentata affioreranno poi nei selvaggi grovigli di Pollock, nei volti contorti della Grande folla di Antonio Saura.

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