Sulle ultime ore di Gramsci e la sua presunta conversione si è detto e scritto molto in questi giorni. Se è sacrosanto procedere con ogni prudenza e soprattutto non cercare di appropriarsi da parte della Chiesa delle autorevoli personalità che hanno militato in campo avverso, cristianizzandole a tutti i costi, è altrettando giusto prendere le distanze da coloro che alla notizia hanno reagito – oggi come trent’anni fa – con sdegno, bollando l’ipotesi come «impossibile», «comica» o leggendaria. È stato detto che l’avvicinamento dell’ideologo comunista alla fede negli ultimi giorni della sua vita non è documentato e dunque non risulta dalle carte. Giusto. Ma non tutto ciò che è realmente accaduto si trova nelle carte.
Quanti sono i fatti concreti, reali, storici, che non si trovano nei documenti scritti? Tantissimi. Dà fastidio il tono di certi commenti che hanno inteso bollare subito come fantasie di qualche ecclesiastico o di qualche suorina devota le testimonianze oculari e convergenti di diverse religiose che assistettero Gramsci dall’agosto 1935 all’aprile 1937 nella clinica «Quisisana» di Roma. Queste testimonianze non hanno forse valore? Assistiamo purtroppo al solito gioco della storia tirata di qua e di là a seconda delle convenienze politiche e/o ideologiche. Quando fa comodo, testimonianze orali – magari smentite dai documenti scritti – vengono sbandierate come verità. Quando non fa comodo, vengono definite fantasie soltanto perché descrivono una realtà che nei documenti scritti non ha potuto trovare posto.
Non tutta la vita degli uomini, grazie a Dio, sta nei pezzi di carta, nei registri, nelle lettere, nelle ricevute. Detto questo, la stessa «conversione» di Gramsci va parzialmente ridimensionata. Dalle testimonianze orali delle suore e da una nota scritta interna alla clinica, emerge che quando l’ideologo era in punto di morte il cappellano non potè avvicinarsi perché tenuto a distanza dalla cognata Tatiana. Si limitò a pregare e a benedire con l’acqua santa il morente rimanendo sulla porta della stanza numero 26.
Ma emerge anche che Gramsci chiese ripetutamente a una suora di pregare per lui, che il giorno prima della crisi fatale fu visto immobile con lo sguardo intensamente rivolto al tabernacolo della cappella che si trovava proprio di fronte alla sua stanza. Emerge che nei mesi precedenti aveva voluto baciare la statua di Gesù Bambino portata ai malati durante le festività natalizie. Emerge che aveva continui colloqui con il cappellano della clinica, sempre conclusi con preghiere e benedizione.
Al prete che lo invitava a ricevere i sacramenti, Gramsci, che non aveva mai fatto professione di ateismo, rispondeva sempre: «Non è che non voglio, non posso». E all’epoca un comunista non poteva.Se di conversione non si può parlare, di attenzione e desiderio probabilmente sì. Con buona pace di chi oggi si scandalizza.
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