Grand Tour di Caterini nel Paese della memoria

Nove capitoli di storia letteraria e sociale per riscoprire le anime di una nazione

Grand Tour di Caterini nel Paese della memoria

Il lettore intelligente, il lettore che non teme la complessità troverà grande soddisfazione nella lettura di questo Ritorno in Italia di Andrea Caterini (Vallecchi, pagg. 150, euro 14) che, fin dal titolo, promette enigmi: ritorno, perché? Ce n'eravamo forse andati? Non siamo forse sempre stati qui?

Il libro ha, anzitutto, una superficie e un ventre, e se ciò che interessa davvero è il ventre, tuttavia anche dalla superficie ci giungono informazioni rilevanti. Ritorno in Italia si presenta diviso in dieci parti, un'introduzione e nove capitoli. Sulla scia delle peregrinazioni per i suoi programmi Rai, Caterini estrae dal taschino il taccuino degli appunti di viaggio e vi fa «ritorno», come un bravo ruminante, nella riflessione e nella memoria, accompagnato, per ogni capitolo, da un classico della letteratura dei luoghi visitati.

Torniamo dunque nella Sardegna di Salvatore Satta (Il giorno del giudizio), nelle Langhe di Beppe Fenoglio (La malora), sull'Etna e nella Sicilia di Gesualdo Bufalino (Diceria dell'untore), nel Casentino di Dino Campana (i Canti orfici, naturalmente), nella Napoli di Curzio Malaparte (La pelle, scelta non scontata ma sacrosanta), nella Puglia di Sandro De Feo (Gli inganni), nel Carso di Scipio Slataper (Il mio Carso).

Gli accoppiamenti proposti sono utilissimi a ricordarci la natura eteroclita, ossia a più radici, della nostra cultura. Come osservava con un po' d'invidia, anni fa, una valente antropologa francese, la forza dell'Italia sta in questa pluralità dove ai diversi nomi si associano luoghi diversi: Leonardo e Vinci, Antonello e Messina, Desiderio e Settignano, Verdi e Busseto, Magris e Trieste, Manzoni e Milano, e così via: come se il genius loci dell'Italia assumesse volti e caratteri diversi secondo il paesaggio, il clima, l'accento.

Un'altra osservazione che nasce, quasi soltanto scorrendo l'indice, riguarda poi la scelta di escludere dal viaggio le città: esclusione che sa di lesa maestà. Siamo o non siamo il Paese delle Cento Città? Certo. Ma lo sguardo di Andrea Caterini vuole scendere più in profondità, scava scoprendo via via i diversi strati - tutti vivi - che nei secoli le nuove dominazioni hanno sovrapposto alle vecchie, senza però cancellare niente: è quello che chiamiamo «principio di secondarietà», secondo il quale ogni civiltà si sviluppa usando pezzi di quelle precedenti: dalle colonne dei templi abbattuti alle feste pagane convertite al nome dei santi.

L'Italia di Caterini si vuole dunque aspra, e se l'amato libro messo in valigia allieta i suoi pensieri, è poi la durezza di questo Paese - come nelle Meraviglie d'Italia di Gadda - a dominare le pagine: l'Italia è un Paese sterminato e difficile, che solo il sonno della ragione ci può illudere di conoscere. Un millimetro d'Italia è come un chilometro di Canada (con tutto il rispetto), e Caterini ne fa esperienza passo dopo passo, albergo dopo albergo, incontro dopo incontro.

E qui comincia il ventre del libro, la sua giustificazione profonda, la sua domanda-chiave. Dovendo visitare luoghi, uomini e storie facendo uso dello strumento televisivo, con la sua necessaria invasività fatta di registi, operatori, conduttori, tecnici, strumenti, fili e quant'altro, Caterini ha a disposizione un armamentario capace di mettere in luce quella che è forse la prima legge della narrazione. Narrando, infatti, noi modifichiamo, inevitabilmente, l'oggetto del nostro racconto.

La troupe televisiva invade ciò che racconta, così che la cosa nell'atto di essere raccontata non è la stessa e forse non lo sarà più. Essere raccontati, intervistati, fotografati trasforma persone e luoghi in qualcosa di nuovo; l'ansia di conoscere, di vedere, lascia dietro di sé una realtà nuova e sconosciuta: il mondo così com'è e sarà dopo il passaggio delle nostre immagini e delle nostre parole.

E non è da credere che quanto detto valga solo per un documentario tv. Tutti i nostri strumenti narrativi sottostanno alla medesima legge, e poco importa se l'oggetto è una terra, o uomini in carne e ossa, o viceversa una storia immaginata, un soggetto di pura fiction. La legge è la stessa. Quando qualcuno tornerà sugli stessi luoghi cercando di raccontare le stesse storie ne uscirà con immagini e storie diverse. È come quando tentiamo di raccontare un sogno: dopo un'ora, dopo un giorno, dopo un anno il racconto si trasforma.

Ed è sciocco distinguere tra «realtà» e «immaginazione», perché raccontare è - quale che sia il suo strumento o il suo oggetto - una incessante modificazione (oserei dire quantica) delle cose, e la sua legge è la stessa legge del lavoro umano, che fa esistere il mondo cambiandolo incessantemente.

Il libro di Caterini inquadra e centra questo obiettivo fondamentale.

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