Guerra Libia

La grande invasione è cominciata

RomaL’aveva anticipato Gheddafi, la tv di Stato libica l’ha confermato l’altra notte, durante i primi bombardamenti francesi: Tripoli «non coopererà più con l’Europa nella sua lotta contro l’immigrazione clandestina». La voce è quella di un anonimo funzionario del regime, ma più del suo annuncio è il mare a sancire che la Libia ha sospeso ogni controllo: ieri oltre 500 immigrati hanno raggiunto Lampedusa. In serata numerose imbarcazioni erano in avvicinamento. Nell’isola ormai il numero dei nordafricani rischia di superare quello dei residenti: 4300 i primi, 6300 i secondi. L’equilibrio è spezzato. Dall’allarme si è passati all’emergenza. Gli extracomunitari, quasi tutti tunisini, sbarcati dall’inizio dell’anno si avvicinano a quota 12mila. È questa la guerra dell’Italia: guerra contro il tempo, ossia riuscire a dare accoglienza, cibo e un letto a migliaia e migliaia di persone che potrebbero riversarsi senza controllo, di ora in ora, sulle coste dell’ultima isola italiana. L’Italia è al fianco degli alleati nell’attacco alla Libia anche per pretendere la stessa lealtà: «Solo partecipando - ha chiarito ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa - avremo autorevolezza per pretendere che, esaurita l’emergenza Gheddafi, la comunità internazionale si adoperi con eguale forza per condividere la gestione del fenomeno immigrazione».
Centinaia di lampedusani si sono presentati al porto ieri mattina, davanti alla banchina, bloccando l’accesso ai nuovi arrivati. Da una parte gli immigrati appena sbarcati dal mare, i vestiti fradici, dall’altra uomini e donne che vedono la loro isola trasformarsi in una terra di approdo senza regole come mai era avvenuto sinora.
Il centro può ospitare un massimo di 850 immigrati. Anche se i ponti aerei proseguono per smistare gli ospiti in altre regioni, la struttura è ormai sfruttata al triplo della sua capienza. Molti tunisini bivaccano nell’isola. I lampedusani hanno paura che venga costruita una tendopoli. Ieri hanno tentato di bloccare l’attracco di un traghetto proveniente da Porto Empedocle che trasportava tende e bagni chimici. «L’Italia non è unita, siamo soli», ha scritto il parroco, don Stefano, in una lettera a Napolitano.
La solitudine di Lampedusa sarà interrotta in realtà in quarantotto ore. Dal Viminale è partito un imperativo a tutte le Regioni: l’accoglienza adesso deve essere «concreta e immediata». Domani il ministro Maroni riunirà a Roma i governatori e i rappresentanti degli enti locali. Chiederà elenchi precisi: aree demaniali, strutture non utilizzate. Un’azione, si fa notare, in linea concorde con il capo dello Stato, che due giorni fa aveva sollecitato un impegno nazionale, di tutti.
Nella stessa giornata di martedì potrebbero avvenire i trasferimenti di centinaia di immigrati da Lampedusa. Il ministero della Difesa ha individuato tre aree al Sud. Il villaggio di Mineo per i profughi può ospitare fino a 2mila richiedenti asilo. Ma serve di più. Non basta una capienza di 2-4 mila posti, quanti ne possono offrire i centri di identificazione (Cie) più Mineo. Le strutture «ufficiali» hanno una capienza non superiore ai 6mila. Le previsioni parlano di una soglia fino a 50mila possibili arrivi nei prossimi mesi. Nel Cie di Brindisi è scoppiata nelle scorse ore una rivolta. Sono stati bruciati materassi, forse è necessaria la chiusura temporanea per riparare i danni.
Roberto Calderoli, scettico come tutta la Lega sull’attacco alla Libia, si augura che «il blocco navale sia utilizzato per impedire esodi di massa verso il nostro Paese». «Certamente sarà così», ha risposto il ministro degli Esteri Frattini.

Secondo le ultime segnalazioni da Zarzis, il quartier generale dei Caronti tunisini si sarebbe spostato a Djerba, l’isola del turismo: da qui stanno partendo nuovi barconi alla volta dell’Italia.

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