La grande mostra di Bassolino 300mila euro e zero spettatori

Il deserto è costato trecentomila euro. Non è facile immaginare il vuoto a New York. Un luogo dove non c’è traccia di vita umana, qualcosa di lontano, siderale, un punto vuoto nella Grande Mela. Eppure quel deserto si è materializzato per un lungo mese nella sede americana della Regione Campania. È il settembre del 2005: l’assessorato al Turismo organizza una mostra sulla ceramica artistica di San Lorenzello. Dove? Nella sede di New York. Bella, sontuosa, nel cuore della megalopoli. Bisogna valorizzare l’artigianato campano negli Stati Uniti. L’evento deve essere colossale, deve oscurare le mille luci della città. L’imperativo è spendere, spendere, spendere. Alla fine arriva il conto ed è salato: 300mila euro. Ma il risultato è appunto il deserto. Un flop senza precedenti. Alla mostra non si presenta nessuno. Non è un modo per dire che è andata poca gente. No. Non c’è andata neanche un’anima. Nemmeno per sbaglio, o per noia. L’allestimento fallisce nel disinteresse generale, forse persino degli organizzatori. Non avevano un parente? Uno zio, una zia, un cugino di secondo, terzo, quarto grado da chiamare e invitare alla loro esposizione? A New York c’è un mezzo napoletano a ogni angolo eppure a nessuno è saltato in mente di onorare origini, radici e tradizioni. Come se l’artigianato campano e le sue ceramiche avessero il sex appeal di una ceramica da bagno. Poco pubblicizzata? Non si sa, di quella mostra in realtà non c’è traccia, non ci sono testimoni. Nessuno che possa giudicarla.
Un disastro. Di più: una beffa. E poi pure il paradosso: la mostra che nessuno ha visto è finita anche al centro di un’inchiesta. Perché la mostra sulle ceramiche di San Lorenzello è solo uno degli appalti sui quali lavora la Procura di Napoli in un’indagine sugli sprechi della sede di New York. Emergono flop e mezzi flop. Eppure quella sede doveva essere il fiore all’occhiello di Bassolino, il ponte per gli Stati Uniti. Uozzamerica: il governatore voleva fare l’americano, allora qualche anno fa decise che Palazzo Santa Lucia dovesse avere una sede a New York. Furono giorni di grandi manovre: dove aprirla? Per non farsi mai mancare niente ecco la scelta: una palazzina stile liberty sulla Quinta Strada, cioè nel centro del centro del centro del mondo. Un affare, di sicuro. E poi vuoi mettere il prestigio? Per esportare la cultura campana non si poteva mica andare in periferia. Grandi inaugurazioni e buffet, ovviamente senza badare a spese, tra gli ospiti d’onore Isabella Rossellini per tagliare nastri e posare accanto a personalità campane tra cui Bassolino.
Felice, il governatore. La foto con la grande attrice e anche quella con l’ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, la folla intorno, i flash, i titoli dei giornali napoletani entusiasti. Un giorno da Re. Il primo e anche l’ultimo: la gente in quegli uffici non è più entrata. La grande sede della Campania in terra d’America è rimasta un contenitore vuoto. Poi una serie di «intoppi» la hanno resa addirittura una fabbrica di fallimenti. Il 2004 gli uffici sono rimasti praticamente inattivi perché «era l’anno di transizione e non c’era personale addetto». Nel 2005, invece, gli organizzatori vantavano almeno un evento al mese, anche nei mesi estivi. A ottobre del 2005 i giornali riportavano la stessa triste notizia: «Flop di pubblico alla mostra, nei locali tre dipendenti come visitatori».
Quella volta la mostra era intitolata: «Napoli, l’arte dei geni». Due sale per una ventina di pezzi. Un altro grande evento inutile: anche quella volta il vuoto.

La responsabile del progetto “Arte Napoli a New York”, se la prende con il tempo: «Non c’è gente perché piove a dirotto». Ed è come dire piove governo ladro. La sede di New York doveva essere il diamante del rinascimento napoletano. Un diamante di lusso: è costato 500mila euro all’anno di affitto.

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