Le grandi vanità del piccolo Crispi della Farnesina

Giancristiano Desiderio

Prima ha fatto il can che abbaia con la Siria («Non mandi armi o non staremo a guardare»), poi ha dato una lezione di politica interna a Zapatero provocando un caso diplomatico («L'Ira e l’Eta da gruppi terroristici sono diventati movimenti politici»), quindi ha fatto il maestro dell’Ovvio Spinto alla Catalano, eppur pericoloso, quando ha «concesso» il nucleare all’Iran di quell’antisemita di Ahmadinejad: «La volontà dell’Iran di utilizzare l'energia nucleare è legittima, se è destinata a scopi pacifici». Il Massimo Statista (la definizione è di Mario Giordano) si sente davvero una sorta di Napoleone in Egitto o di Cesare alla corte di Cleopatra: ridisegna il mondo con la forza del suo pensiero. C’è una sola persona in grado di tenergli testa. La sora Lella Bertinotti che qualche giorno fa al Corriere della Sera, giustificando i salamelecchi di suo marito a Fidel Castro, ha detto queste normalissime cosucce: «Vorrei che qualcuno mi dicesse com’era Cuba prima di Castro». Com’era? «Orrenda. Adesso, tra i Paesi del Terzo Mondo, è il più avanzato: i bambini hanno tutti da mangiare, vanno a scuola, non c’è prostituzione minorile, non sono venduti organi. Poi, certo, c’è la pena di morte, non ci sono elezioni... Ma ciò non significa un embargo che dura da cinquant'anni». Qualcuno informi la elegante e raffinata moglie del presidente della Camera che a Cuba da cinquant'anni c’è una dittatura criminale e sanguinaria.
I comunisti o gli ex comunisti o i postcomunisti (c’è un problema d'identità che manco Pirandello poteva immaginare) sono fatti così: ora ti impartiscono una lezione di politica, ora ti fanno la morale. Loro sanno come va il mondo. Sono i primi della classe. Il ministro degli Esteri, che oggi guida l’Italia, veleggia con la sua Ikarus e parla al telefono con il segretario di Stato degli Usa e le dice «bye bye Condi» è sempre stato il primo della classe. Al primo giorno di scuola in terza elementare, il piccolo Massimo rispose all’appello del maestro così: «Sono Massimo D'Alema e voglio fare il capoclasse». Capito? Baffin di Ferro era un Capo quando era ancora un bambino e la definizione che oggi, alla luce della sua ormai celebre fotografia a Beirut con il deputato hezbollah Hussein Haji Hassan, gli ha affibbiato Francesco Cossiga chiamandolo il «Piccolo Crispi» è solo l'ultima di una serie infinita: Baffino, Spezzaferro, Il Migliorino, Saragat del 2000, la Volpe del Tavoliere, líder Maximo, insomma, come a scuola, è il primo della classe, anzi il Capo, è sempre lui il «miglior fico del bigoncio».
La verità è che Massimo D'Alema è rimasto quello che è sempre stato: un comunista del Pci. Che cosa si vuole dire, che mangia i bambini? Si vuole dire che il Massimo Statista pensa ciò che la sora Lella dice. Si vuole dire che per lui il Partito è tutto e viene prima di tutto, anche quando non c’è più. Per essere realista D’Alema lo è fin troppo.

Peccato, però, che per il troppo realismo gli sfugga la realtà e non si accorga che lui non è Willy Brandt, tantomeno François Mitterrand e la socialdemocrazia (fuori tempo massimo) in Italia non si farà mai con gente che plaude ai missili di Hezbollah. E pensare che un tempo predicava ogni tre minuti che voleva «un Paese normale» e arrivò persino a dire di «essere un liberale». Il solito capoclasse.

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