Cronache

«Il grave è che noi provinciali siamo proprio così»

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«Il grave è che noi provinciali siamo proprio così»

Paolo Bertuccio

È uscito un film che, in un certo senso, parla di noi. Noi chi? Noi che viviamo nei piccoli centri, noi che ci alziamo presto la mattina per andare in città e, quando arriviamo, abbiamo sempre il maledetto vizio di guardare i grattacieli col naso in su, anche se non ce ne accorgiamo. Noi che viviamo «a sei chilometri di curve dalla vita». Noi che usciamo di casa perché in casa ci annoiamo e, una volta in strada, dentro noi non è cambiato niente.
Il film si chiama «Texas» e vuole far credere che tutto questo sia vero. È ambientato nella zona di Ovada ed ha come soggetto giovani e giovanissimi che passano il tempo bighellonando e lamentandosi della piattezza della loro esistenza, convinti che non ci sia un luogo più noioso di quello in cui vivono. Salvo, poi, non avere il coraggio di staccarsi mai di lì e rimanere in eterno prigionieri del proprio sterile malcontento. La filosofia di base è, insomma, che la rovina della provincia sono i provinciali. I promotori, cioè, di una mentalità chiusa, che non va oltre l'orticello di casa, che rifiuta o teme il confronto con qualunque altra realtà.
Ora, si sa che ciò che viene proiettato sul grande schermo non è vangelo, e che la fantasia dei registi non ha limite. Fidatevi, però, che in questo caso è tutto vero. Lo affermo con immensa tristezza ma con cognizione di causa. Spero che le mie impressioni siano sbagliate, ma si dà il caso che chi scrive abbia all'incirca l'età dei protagonisti di «Texas» e viva in un centro ancora più piccolo di Ovada.
Il punto cruciale è che la provincia ti dà molto, ma poi ti chiede indietro qualcosa. Più di tutto, ti dà la protezione, la sicurezza. Da bambino puoi girare tranquillamente per strada e giocare a pallone con gli amichetti fino a sera; a scuola sei seguitissimo perché le classi sono composte da pochi alunni e gli insegnanti possono così lavorare più serenamente. Il tuo universo è quello, e tu te lo sfogli pian piano come una margherita. Tranquillo e beato, cresci placidamente e non hai bisogno di nient'altro. È alla fine della margherita che iniziano i problemi.
Sei cresciuto, e ormai il tuo paesino e le teste di chi lo abita non hanno più segreti per te. Sai anche che, con una buona approssimazione, tutte le altre località del circondario non ti potranno mai riservare grandi sorprese. La provincia ha esaurito il suo compito, che era quello di darti la serenità. Ora, però, le tue esigenze sono cambiate: senti il bisogno di aprire un po' la mente, di confrontarti con altra gente che abbia esperienze diverse dalla tua. Insomma, di coltivare i tuoi interessi. E qui il tuo caro paesino non può più aiutarti. Se vuoi discutere di cinema polacco, della satira di Giorgio Gaber sulla Contestazione o dell'accordatura aperta della chitarra di Keith Richards, devi andare da un'altra parte. È una questione statistica: meno persone ci sono in circolazione, meno saranno gli stimoli a cui le loro menti saranno sottoposte, minore sarà la varietà di argomenti di cui queste si occuperanno. A questo punto, la fuga verso la città è già più che un'ipotesi, e le strade si dividono. Alcuni coraggiosi, magari non particolarmente affezionati alla propria terra, letteralmente lasciano tutto e fuggono in città. Altri riescono a raggiungere una soluzione di compromesso, praticando il pendolarismo come uno stile di vita: lavorare o studiare nella metropoli più vicina, per poi tornare ogni sera tra le confortevoli mura amiche. Altri, infine, non sentono il bisogno di un'altra realtà. Quella in cui sono cresciuti basta e avanza, e d'ora in poi il loro unico collegamento col mondo al di là del torrentello o del ponte dell'autostrada sarà la televisione. Che di questo mondo offre una visione quantomeno opinabile.
Ecco, di quest' ultima categoria si occupa il film di Paravidino. Coscienti che qualcosa di diverso c'è, magari a pochi chilometri di distanza, i ragazzi di «Texas» hanno perso l'occasione di esplorarlo quando era ora, e adesso si lamentano meccanicamente della propria realtà, come se un copione scritto lo prevedesse. Sono gli stessi ragazzi che passano le serate in piazza, a chiedersi continuamente «che si fa?» quando sanno benissimo che rimarranno piantati lì fino alle due, o al massimo faranno una capatina in uno dei soliti locali del circondario. Che fissano come si trattasse di un animale raro qualunque straniero (cioè non del loro stesso paese, con la «p» minuscola) che abbia la sventura di passare vicino al loro capannello. Insomma, quelli che fa tutto schifo. Paravidino, è evidente, ne ha conosciuti di giovani così, ed è altrettanto evidente che, osservando il fenomeno con gli occhi di chi è fuggito in tempo, si senta una specie di sopravvissuto. Anche se abita a Roma, gli piace tornare quando può ad Ovada, a Rocca Grimalda, nei centri dell'alessandrino che lo hanno visto crescere. Niente di più logico: chi ha una visione più globale delle cose, può apprezzare appieno la famigerata provincia, coi suoi difetti ma anche coi suoi tanti pregi.


Un film come «Texas» non sputa affatto sulla provincia. Al contrario, denuncia chi la sta rovinando

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