Medicina

Le gravi emicranie persistenti possono dare ictus cerebrale

Le gravi emicranie persistenti possono dare ictus   cerebrale

Gianni Mozzo

L’emicrania è una malattia cronica molto comune, ha una base neurovascolare ed è caratterizzata da attacchi ricorrenti di cefalea, ampiamente variabili in termini di frequenza, durata e intensità, che possono essere preceduti da disturbi del sistema nervoso neurovegetativo noti con il termine di aura. Le ricerche epidemiologiche internazionali hanno permesso di stimare una prevalenza dell’emicrania nella popolazione media adulta del 12-16 per cento (sei milioni in Italia), con differenze fra le varie casistiche dovute alla mancanza di uniformità nella definizione di emicrania. L’emicrania è stata inserita dall’Organizzazione mondiale della sanità fra le venti maggiori cause di disabilità nel mondo e il suo costo complessivo in Italia è di circa 600 euro per paziente/anno.
Nei soggetti giovani affetti contemporaneamente da ictus ischemico ed emicrania, è stata osservata un’aumentata prevalenza di un difetto cardiaco della parete interatriale che si realizza subito dopo la nascita, denominata pervietà del forame ovale (Pfo). Il forame ovale è una comunicazione fisiologica fra atrio destro e sinistro, presente solo durante la vita intrauterina che, con un meccanismo a valvola, impedisce il passaggio di sangue ossigenato di derivazione materna attraverso i polmoni.
All’Humanitas Gavazzeni di Bergamo, uno dei primi centri d’Italia, il dottor Eustaquio Onorato, primario della divisione di cardiologia, e il dottor Gian Paolo Anzola, primario di neurologia all’ospedale San Orsola Fatebenefratelli di Brescia, hanno già eseguito 600 interventi di «chiusura» del forame ovale, ricorrendo ad una tecnica percutanea mediante un dispositivo occlusore». I due specialisti confermano che quasi il 40 per cento dei pazienti trattati negli ultimi quattro anni era affetto da emicranie con aura e che il grande rischio cui vanno incontro i portatori di Pfo è l’ischemia cerebrale.

Entrambi concordano che lo studio multicentrico inglese «Mist» ha fotografato il problema, ma riguarda pochi soggetti (370) esaminati solo per sei mesi.

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