«Grazie di tutto, Prodi e Bassolino»

Da «vo-t’Antò-nio» a «gra-zi’Antò-nio». Passa in un baleno la gloria mondana, e un mesto benservito accompagna il governatore Bassolino alla porta, con buonuscita e gli otto mesi di preavviso richiesti. Grazie, davvero grazie, «grazie per tutto quello che ha fatto in questa città e in questa Regione», lo accomiata in piazza Plebiscito il terribile Uàlter (così in napoletano), che non lo ha voluto con sé sul palco. Grazie: il partito ricorderà, la città pure. Certo, per motivi opposti.
Quella che era la madonna pellegrina del Pci-Pds-Ds, idolatrato per il suo «Rinascimento napoletano», si fa piccino piccino davanti ai tempi nuovi e ai potenti di sempre. Si piega di fronte alla mano dura del Partito e al «rinnovamento» promesso dal commissario straordinario ad personam Massimo D’Alema, costretto a candidarsi in Campania per ridurre al minimo l’«effetto-Bassolino». Per oltre un decennio, quello che consentiva il potere assoluto alla Quercia. Oggi, la frana che rischia di sotterrare il Pd.
Grazi’Antò-nio, il partito è con te. Un vero servitore, come lo si intendeva un tempo. Mai un lamento, mai controcorrente rispetto alla linea dominante, e dire che nacque ingraiano. Entrato a 17 anni, con il complesso d’inferiorità del ragazzo di Afragola, afflitto da balbuzie devastante, il giovane Bassolino ha fatto il Sessantotto portando al potere non l’immaginazione, ma l’arte d’arrangiarsi. Funzionario flessibile e affidabile, la fragilità personale come arma non convenzionale, il ragazzo brucia le tappe. Capace di mitigare operai incazzati (mitica un’assemblea anni Ottanta all’Italsider di Bagnoli), ma anche a farsi giunco con i potenti. Il Partito ne apprezza talmente le doti da lanciarlo sindaco di Napoli quando Tangentopoli fa il repulisti. Difficile fare di peggio, e Bassolino sindaco viene accolto da scetticismo e simpatia.
Comincia la seconda stagione del Grazi’Antò-nio. La balbuzie è stata curata, le insicurezze definitivamente trasferite ai due pacchetti di Nazionali senza filtro (poi Ms, poi Marlboro), che lui più che fumare succhia fino al filtro. La Napoli dei quartieri alti lo adotta, lo blandisce, ne suona la grancassa: sicura di poterlo usare a piacimento. La borghesia un po’ lo subisce, la plebe lo idolatra. Il colpo di fortuna con i soldi del G7 del ’94, che consentono di fare improcrastinabili lavori di manutenzione nella parte più spettacolare della città. Chi vive nei quartieri ghetto, si accontenta della passeggiata a via Caracciolo, e spera che prima o poi la ventata arrivi a Scampia, al Rione Traiano, a Barra.
Ma gli anni passano invano, anche perché Grazi’Antò-nio fa tutto ciò che gli altri sindaci facevano: organizza il consenso, non la città. La costruzione della rete metropolitana è il fiore all’occhiello, ma anche il simbolo dell’arte di arrangiarsi che diventa cultura di governo. Stazioni modello (con opere d’arte contemporanea), lavori a rilento (ancora in corso), improvvisazione nella progettazione e nell’organizzazione. Nessun’altra opera di rilievo, nessuna riorganizzazione dei servizi pubblici, nessuna capacità di affrontare i problemi strutturali. L’accordo di ferro con De Mita porta Bassolino alla Regione e Jervolino al Comune proprio quando la Napoli di cartapesta di Grazi’Antò-nio sta per esplodere. La criminalità cresce, la cultura camorrista attecchisce in ogni ceto sociale, le fragili impalcature bassoliniane si afflosciano. Emerge il bubbone della raccolta dei rifiuti, che lui ha sempre sfuggito come la peste, nonostante sia stato per due volte commissario straordinario.

Consulenze d’oro inutilizzate, sudditanza nei confronti dei tanti che lucravano sull’inefficienza. «Non ho responsabilità penali», si è giustificato quando è finito sotto inchiesta. Sarà, ma tra cent’anni grazie ad Antonio, San Gennaro, non ne farà.
Roberto Scafur

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