Taormina - È stato un parto da manuale, firmato Pupi Avati. E adesso che il lato D di Ezio Greggio è spuntato dal suo ventre creativo, come s’è visto a Taormina, che ha premiato l’artista col Nastro d’argento per la sua interpretazione ne Il papà di Giovanna, sul versante drammatico lui ci si butta a capofitto. «Sono onorato anche dall’amicizia nata con Avati, del quale aspetto la prossima chiamata, magari per un film struggente», dice quest’ossimoro in calzoncini da mare. Per anni ha pigiato il pedale della risata, tra il Festival di Montecarlo, inventato tra il lusco e il brusco («era una chiesetta, ora è una cattedrale e così ho vinto la mia crociata per la risata») e adesso Ezio, cinquantacinque anni non dimostrati, due figli e un amore nuovo, si volge al Dramma. E fa sul serio, ovvio. La sorella Paola, un mastino dal volto di donna bionda è la sua vera manager, «crediamo molto nella famiglia», dicono quasi all’unisono i Greggio Bros. Passa Christian De Sica e i due re della spensieratezza fanno un siparietto lì per lì: hanno inviato una foto, fatta insieme alla cerimonia dei Nastri, al permaloso Massimo Boldi. «Manchi solo tu», la dedica. Si aspettano querele, i ragazzacci, sghignazzano pure. Ma è ora di scendere in profondità, per risalire in superficie.
Caro Ezio Greggio, vent’anni di «Striscia» e i Vanzina non bastavano più?
«Avevo dentro un’attitudine drammatica, che Avati m’ha scoperto, offrendomi un copione fantastico. E se non sono convinto, le cose non le faccio. Ho rifiutato decine di proposte televisive. E poi, avendo lavorato negli Usa, dove ho girato quattro-cinque film, mi rendo subito conto se una cosa funziona o no».
Il «lato D», d’ora in poi, predominerà nelle sue attività artistiche?
«A cinquant’anni conosci la tua sensibilità. E tengo le porte aperte anche ai registi esordienti, a chiunque mi offra un copione valido: i soldi non sono un problema, purché ci sia talento. Mi trovo in un punto della mia carriera, in cui voglio lasciare un segno, non solo nel portafogli».
Quando gira per strada, ragazzini e signore attempate la trattano quasi come un parente: da cosa dipende questa, diciamo, trasversalità del personaggio?
«Vuol dire che, fin qui, non ho sbagliato l’approccio col pubblico. Sono nato a Cossato, in provincia di Biella, dunque un posto lontano da qui. Ma soprattutto quando vengo al Sud, sento l’affetto della gente. Quando vado a Napoli, mi trattano come un parente di Totò. E so che lui da lassù, mi veglia».
Addirittura?
«Certo. Sono stato anche a portare i fiori, sulla tomba di Totò».
Quali progetti, allora, sul versante del cinema serio?
«Sto lavorando al progetto d’un film drammatico, che comincerò a girare nel 2010. Si tratta d’un soggetto ispirato a un fatto storico del passato e sarà una coproduzione non soltanto italiana, ma con un cast tutto italiano».
E sul fronte del ridere?
«Il 9 luglio presenterò al Roma Fiction Fest la serie televisiva Occhio a quei due, con la regia di Carmine Elia, in onda quest’autunno su Canale 5. Si tratta di una action comedy, dove io ed Enzo Iacchetti interpretiamo due poliziotti, che nella Milano di oggi finiscono per indagare sullo stesso caso, ma per vie diverse. E c’è pure di mezzo una donna, cioè Atonia Liskova, la mia ex-moglie della quale Enzino s’innamora...».
Parliamo di comicità. Forte degli ascolti, lei, insieme alla «banda Ricci», ironizza anche sul «Cavaliere Mascarato». C’è chi sostiene che Maurizio Crozza sarà ridimensionato a La7 perché sgradito ai piani alti. Allora, contano gli ascolti o l’allineamento politico?
«Occorre essere trasversali. Io, che non sono un comico pentito, che di punto in bianco si dà ai film drammatici, sostengo che si debba piacere a tutto il Paese. Perché a Capri mi dicono “Buongiorno, Maresciallo!”, memori della serie tv e a Venezia, di dove è originaria la mia famiglia, mi trattano con lo stesso senso di appartenenza? Se sai far ridere, la gente mostra gratitudine. Nel nostro lavoro piacere a tutti è importante. E gli ascolti contano, certo».
La commedia, finalmente, sembra sdoganata, come genere. Perché, finora, è stata ostracizzata?
«È ora di finirla con lo snobismo contro la risata. Si crede che ridere sia cheap. Invece è l’opposto. Chi fa questo lavoro sa quanto sia complicato strappare una risata. Ci vuole un meccanismo in più. Ben venga la risoterapia, pur di far star meglio il malato! Il cinema è cinema, la risata è la risata e non ci possono essere divisioni in famiglia.
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