
New York, marzo 1952. Inge Schöntal, fotoreporter ventiduenne (e futura moglie di Giangiacomo Feltrinelli) è in giro per Manhattan a caccia di "scoop". All'improvviso su Madison Avenue nota una signora "sola, pensierosa, probabilmente raffreddata", ampio cappotto scuro e capello di feltro sugli occhi. "Dio mio! sussulta Inge -. Ma è Greta Garbo!". Questione di secondi. La ragazza estrae la macchina fotografica, scatta. Due giorni dopo Life pubblica quest'incredibile colpo di fortuna: una foto dell'attrice più famosa al mondo, che al culmine d'una bellezza e d'una gloria irripetibili s'è inspiegabilmente ritirata dallo schermo e dal mondo.
Il 18 settembre ricorrono i 120 anni dalla nascita del Mito Garbo. Ancor oggi in gran parte alimentato proprio da quel ritiro. "Muore giovane chi è caro agli Dei", sentenziavano i greci. E seppellendosi a soli 36 anni senza ragioni (apparenti) la Divina s'è proiettata per sempre nell'empireo delle leggende. Ma a quale prezzo? Come ha vissuto, dal 1941 fino alla morte (autentica) nel 1990, l'inafferrabile Greta? Innanzitutto: "Contrariamente a quanto si dice non si ritirò a causa del flop di Non tradirmi con me rivelava Federico Zeri, che la conobbe nel 63 -. Il film, bocciato dalla critica, al botteghino andò bene. Ma poi la guerra chiuse il mercato europeo, fonte principale dei suoi guadagni, e lei pensò Aspettiamo che finisca". Da sempre elusiva e sfuggente (non concedeva mai interviste, né autografi né foto, non presenziava alle prime dei suoi film; se i fan scoprivano il suo indirizzo lei cambiava casa) la Divina inizia così a relegarsi in un isolamento sempre più inviolabile. Va a vivere al quinto piano del 450 nella 52esima East di Manhattan, con alle pareti quadri di Renoir, Kandinsky e Jawlensky. I servitori svedesi, Gustaf e Sigrid, hanno l'ordine di bruciare le lettere dei fan, che lei nemmeno apre, e di rispondere al telefono "Qui casa Norin". Lei stessa, quando viaggia (sugli aerei prenota sempre due posti: così nessuno può sederle accanto) negli alberghi si firma "miss Harriet Brown".
Pochissimi umani hanno il privilegio di ascendere fino al quinto piano la nipote Gray Reifield e alcuni amanti, uomini e donne: la ricca Mercedes De Acosta, il celebre fotografo Cecil Beaton - uniti da un rigido, inviolabile patto: mai parlare di miss Brown ad estranei. È solo al suo diario che Truman Capote osa confessare: Greta è bellissima ma arida, come un tempio abbandonato nella giungla. Accade, quando si ama solo sé stessi". Rarissime le uscite ufficiali: il 13 novembre 1963 non può rifiutare l'invito alla Casa Bianca del presidente Kennedy, solo nove giorni prima del suo assassinio. Ma si guarda bene dall'andare a ritirare l'Oscar alla carriera, nel 1955: anni dopo il giornalista svedese Sven Broman lo scoprirà per caso, ancora impacchettato, dentro un cassetto. Tabù dei tabù: i suoi film ad Hollywood.
Nell'estate del '53 Aristotile Onassis l'invita in crociera con Winston Churchill sul Christina (lo stesso dell'affaire Callas, quattro anni dopo) e lei s'annoia a morte: Churchill non fa che chiederle di Anna Karenina o di Ninotchka.
In compenso, ospite di Rex Harrison a Portofino, mentre vagabonda sulle colline finisce in casa d'un contadino ottantenne che le offre un bicchiere di vino. "Sai una cosa? - racconterà poi ad Harrison, radiosa -. Quel vecchietto non era mai stato al cinema. E non sapeva chi fosse Greta Garbo!". Guai, infatti, a chi osa farle la domanda delle domande. Un pomeriggio piovoso del '57 David Niven, che la incrocia in una libreria, osa fargliela. "Perché ha rinunciato al cinema?". Celebre la risposta: "Avevo fatto abbastanza smorfie".
E nel 1983 Romy Schneider scorge, nella penombra della Chiesa di Svezia sulla 48esima Est, una signora dal profilo inconfondibile. "Ma lei è la Garbo!". "Sì". "Oh, signora: quando tornerà al cinema?". "Alla mia età? E per fare cosa? La mamma di Rambo?". Questo maniacale e ostentato rifiuto del mondo ha, in realtà, dei risvolti narcisistici. E curiosamente contraddittori. Racconta l'amico Meredith Turner: "Si vantava come una bambina: Sono inafferrabile, sono un enigma, una sfinge: nessuno può comprendermi!". "Voleva essere lasciata in pace, sì - rivela un altro amico, Raymond Daum -. Ma intanto l'attenzione degli altri la lusingava". Di nascosto Greta manda il cameriere Gustaf a comprare le riviste che parlano di lei. Ritaglia e conserva tutti gli articoli. Ma poi proibisce di dire in giro che la sera, quando li danno alla tv, guarda i suoi film. Naturalmente questa sorta di "suicidio professionale", questo rifiuto di qualsiasi contatto aumenta, per reazione, un'attenzione morbosa. Produttori e registi tornano avidamente alla carica. Greta si nega, si schernisce. Così molti film pensati per lei passano ad altre. E che film: Viale del tramonto, che farà Gloria Swanson, Il caso Paradine, che toccherà ad Alida Valli, Un tram che si chiama desiderio, che sarà di Vivien Leigh. Nel 1949 le propongono La duchessa di Langeais, tratto da Balzac, con la regia di Max Ophuls. Incredibile ma vero: Greta accetta. Studia il copione, gira i provini. Di fatto, l'ultima volta che si offre ad una cinepresa.
Per anni creduti smarriti, quei preziosi fotogrammi tornano alla luce nel 1990. Il Mito vi appare ancora rifulgente. Ma il progetto si blocca. E ricominciano i no: ad Ingmar Bergman, che la contatta per Il silenzio, a Luchino Visconti, che la vorrebbe in Alla ricerca del tempo perduto. Il Mito attira sempre più: una foto rubata alla Garbo, quando esce per passeggiare goffamente camuffata (abiti da uomo, impermeabile lungo, scarpe basse, cappello a larga tesa) viene pagata una fortuna. Fra i paparazzi che le danno la caccia si distingue un certo Ted Leyson: vero inseguitore seriale la perseguita per dieci anni, appostandosi quasi quotidianamente sotto casa. Lei lo chiama "quel povero ometto sempre in agguato", e invoca contro di lui un Tro (ordine restrittivo temporaneo). Invano.
L'11 aprile 1990 è Leyson a scattarle l'ultima foto, mentre Greta esce per essere ricoverata al Medical Center di Manhattan. Vi si spegnerà il 15, giorno di Pasqua, all'età di 84 anni. Il corpo viene cremato e sepolto a Stoccolma. Quarant'anni dopo il suo suicidio artistico, Greta è scomparsa sul serio. La Divina è morta. Viva la Divina.