Rino Di Stefano
da Fivizzano (MS)
26 luglio 1956, ore 23,10, Oceano Atlantico nei pressi dell'isola di Nantucket, zona di marea 180 miglia dalla costa americana. Italo Jacy Rainato, 52 anni, fotografo di bordo della Turbonave Andrea Doria, ammiraglia della flotta passeggeri italiana, è nel suo laboratorio intento a sviluppare i rullini delle foto che ha scattato qualche minuto prima nel salone della nave. Accanto a lui c'è l'aiutante Enrico, un giovane al suo primo viaggio per mare. Devono sbrigarsi perché prima di mezzanotte devono fare la consegna delle stampe.
Improvvisamente, gli acidi di una bacinella saltano fuori. La piccola cabina ha un lungo tremito. I due si guardano spaventati. Il mare è calmissimo. C'è dunque una sola spiegazione: la nave ha urtato, o è stata urtata, da qualcosa.
Immediatamente salgono le scale che vanno ai ponti superiori e cercano di raggiungere la coperta. A metà corridoio vedono una scena allucinante: una donna e i suoi tre bambini, bagnati e sporchi di nafta dalla testa ai piedi, vengono verso di loro gridando. Sono terrorizzati. «Dio mio, è terribile - dice la donna - la nave affonda, siamo perduti...».
Oggi, Rainato ha 76 anni. Vive a Fivizzano, un paesino dell'appennino toscano, dove con la moglie e il figlio si è trasferito per trascorrere in santa pace gli anni della sua vecchiaia. In lui il ricordo dell'Andrea Doria e di quei terribili momenti è ancora vivo.
«Dimenticare è impossibile - afferma mostrando un quotidiano - Chiunque abbia vissuto quell'esperienza ce l'ha impressa nella memoria. E poi, anche se volesse dimenticarla ci pensano i giornali a farla rammentare continuamente. Su questo naufragio sono state fatte troppe speculazioni. Adesso ci si sono messi anche gli svedesi. La nave era mal costruita? Io non sono certo in grado dì esprimere un parere tecnico, ma vorrei vedere quale nave può rimanere a galla con uno squarcio laterale di cinque metri di larghezza e oltre dieci dì profondità».
Rainato, oltre ad essere stato testimone oculare e partecipe della tragedia che ha distrutto la più bella nave italiana dell'epoca, è anche attendibile in quanto, come fotografo non era dipendente della Società Italia, a cui l'Andrea Doria apparteneva. Infatti l'Italia ora si trova al centro delle polemiche perché accusata dal libro svedese di aver fatto intervenire alcuni suoi tecnici incompetenti nella costruzione del bastimento, avvenuta presso i cantieri Ansaldo.
Ovviamente, la società ha smentito e ha accusato l'editore del libro di volersi fare un po' di pubblicità gratuita a sue spese; ma il tarlo del dubbio, mai risolto fin da quella notte del '56, attira sempre l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale. Ne è una prova il fatto che la recensione del libro è apparsa addirittura sulla prima pagina del New York Times.
«Quello che non bisognerebbe dimenticare è il dramma umano di quel naufragio - sottolinea Rainato - lo ho viaggiato sulle navi per 23 anni e non ho mai vissuto una esperienza come quella. Ricordo che quella notte c'era tanta nebbia che non si vedeva a più di due metri - racconta - Nella confusione di quei momenti accaddero episodi strazianti. Un medico ha assistito fino all'ultimo la moglie straziata dalle lamiere di una delle cabine distrutte dalla prua della Stockholm, la nave svedese che speronò l'Andrea Doria. Quando la moglie è morta lui non voleva abbandonare la nave. Ma anche la paura ha fatto le sue vittime. Un padre ha buttato la figlioletta verso gli occupanti di una scialuppa di salvataggio. Inutilmente quelli gli hanno gridato di non farlo e di salire nella prossima che sarebbe stata calata in mare. La bimba ha sbattuto la testa contro il bordo della barca ed è scomparsa in mare. Una brutta avventura ha vissuto anche una ragazza, una spagnola che si chiamava Linda Morgan.
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