Grillo condannato: altro che satira, diffamò Fininvest

Altro che satira. Beppe Grillo sarà pure un comico ma anche gli artisti prima di scagliare le parole dovrebbero pesarle una a una. Grillo invece le lanciò in modo incauto contro la Fininvest e azzardò un paragone spericolato fra la società del Biscione e, nientemeno, la Parmalat. Oggi arriva la condanna pronunciata dalla corte d’appello di Roma: 50mila euro di risarcimento per la diffamazione. Per i giudici della capitale l’articolo di Grillo, pubblicato dal settimanale Internazionale nel gennaio 2004, non fu un esercizio di satira ma diffamò l’azienda di Berlusconi.
In particolare ha pesato quell’accostamento azzardato fra il disastro del colosso di Collecchio e uno dei simboli dell’impero berlusconiano. Ora, pur a voler essere ipercritici, pare davvero azzardato lanciare un ponte fra il disastro del colosso di Collecchio, travolto dal più grande crac del dopoguerra italiano, e la società di Berlusconi. Che c’entra la Fininvest con il buco, anzi il cratere da 14 miliardi di euro lasciato dal cavalier - titolo poi revocato - Calisto Tanzi?
L’articolo incriminato uscì, a scandalo ancora fresco, con un titolo suggestivo: «Il caso Parmalat e il crepuscolo dell’Italia». Nessuno naturalmente nega la capacità di Grillo di graffiare e di far male, ma in questo caso la costruzione zoppicava e vistosamente. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, Parmalat è una ferita aperta per migliaia di risparmiatori e i suoi titoli, un po’ come è capitato per quelli argentini, hanno tradito moltissime persone. Così la Fininvest ha portato Grillo in tribunale e ha chiesto un risarcimento per la diffamazione subita.
Sono passati più di otto anni, tanti ma non troppi conoscendo i tempi della nostra giustizia, e ora l’azienda milanese vince il secondo round, davanti alla corte d’appello civile di Roma: dunque Grillo dovrà versare un risarcimento di 50mila euro. Grillo, oggi leader del Movimento 5 Stelle e temuto dai capi dei principali partiti per la capacità di intercettare il voto di protesta e anticasta, si è difeso in aula invocando il diritto di satira. Ma i giudici hanno letto l’episodio in tutt’altro modo. Si trattò di diffamazione. Fra l’altro a gennaio 2004 la bancarotta Parmalat dominava le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Insomma, non si capisce come possa stare in piedi un collegamento fra i due gruppi imprenditoriali: è vero che negli anni d’oro Parmalat era una delle prime dieci realtà industriali italiane, ma è altrettanto certo che scivolò nel burrone e i suoi principali manager sono stati processati e condannati a pene pesanti per una sfilza di reati.
«Fininvest - si legge in un comunicato - prende atto con soddisfazione della sentenza con cui la corte d’appello civile di Roma ha condannato Beppe Grillo per aver diffamato la società». La Fininvest ricorda che la difesa aveva giocato la carta della satira, una carta magica se messa nelle mani del grande menestrello che da tempo fustiga i costumi dell’Italia e la deriva della sua classe dirigente. Ma «non di satira si trattava», ricorda la Fininvest nella chiusa della nota.

Grillo è stato sconfitto, anche se il verdetto di secondo grado non può definirsi definitivo. Anche i procedimenti che riguardano Tanzi e i colletti bianchi di Collecchio non si sono ancora chiusi: in questo momento Calisto Tanzi viene giudicato per bancarotta in corte d’appello. Ma quella è un’altra storia.

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