Un «groppo in gola» per la sfortunata Fedra

Micaela Esdra nei panni dell’eroina «disegnata» da Racine nell’allestimento firmato da Walter Pagliaro

Laura Novelli

«In Italia il teatro di repertorio sta morendo. Rischiamo di perdere la preziosa eredità che ci viene dalla tradizione. Per questo ho scelto Racine». Ha le idee molto chiare Walter Pagliaro, regista teatrale e lirico tra i più coraggiosi e originali della nostra scena che, dopo aver allestito autori come Sofocle, Pirandello, Ibsen, Goethe, Botho Strauss, prosegue la sua ricerca sui classici affrontando un’opera poderosa quale la Fedra di Racine. E lo fa con intenti artistici, ma anche con uno sguardo rivolto alla formazione, alla trasmissione dei saperi: l’allestimento, atteso per questa sera al teatro Studio Eleonora Duse, nasce infatti all’interno di un progetto-laboratorio che ha messo insieme attori giovani e meno giovani di diversa provenienza (l’accademia «Silvio D’Amico», padrona di casa dell’iniziativa, la Civica, i Filodrammatici di Milano) e li ha guidati lungo un’illuminante percorso di avvicinamento al testo.
«Il primo obiettivo del nostro lavoro - spiega Pagliaro - è stato quello di studiare a fondo l’opera, di sviscerarne gli aspetti meno evidenti e di valorizzarla soprattutto in termini linguistici, perché tutta la tragedia, secondo me, si sviluppa intorno ad una parola che rimane tappata in bocca ai personaggi. Un groppo che essi non riescono a sciogliere perché ciò che dovrebbero dire è troppo scandaloso». Il verso alessandrino dell’originale viene restituito qui nella bella traduzione di Giuseppe Ungaretti, «una poesia molto difficile da recitarsi che però pone l’accento sull’importanza della parola e, dunque, sul valore stesso della recitazione». Ciò non significa, tuttavia, che «questo spettacolo offra un’interpretazione retorica o paludata della tragedia; anzi, ho voluto puntare su una lettura estremamente moderna che, proprio attraverso la lingua, enfatizzasse l’idea del labirinto, la spirale dalla quale i personaggi non riescono ad uscire».
Nei panni della tormentata eroina che, sposata a Teseo ma perdutamente innamorata di Ippolito (giovane figlio del marito), provocherà la morte del ragazzo e la sua stessa fine, troviamo Micaela Esdra, attrice di ben noto talento che, già interprete di numerosi allestimenti del regista, ama misurarsi con figure femminili ambigue e complesse. «La nostra Fedra - prosegue Pagliaro - è una donna che non riesce a scrollarsi di dosso il senso di oppressione divina che aleggia nell’intera opera. Più che liberarsi dalla sua colpa, lei vorrebbe appropriarsene, assumersi la responsabilità di una scelta. Ma non può, perché sente incomberle sulla testa una presenza assolutamente coercitiva e punitiva».


Bisogna infatti pensare che questa tragedia (pubblicata nel 1677 e qui messa a confronto con altre opere dedicate al medesimo mito, da quella di Euripide alla recente Phaedra’s Love di Sarah Kane) si colloca nella piena maturità di Racine, «quando cioè l’autore aveva aderito con convinzione alle idee gianseniste e ne era diventato un forte sostenitore».
Repliche fino al 25 febbraio. Spettacolo alle ore 20.30. Informazioni allo 06/36000151.

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