Il gruppo Burani al capolinea: dal tribunale arriva il fallimento

Milano«La liquidità è esaurita, non possiamo più procedere al pagamento delle fatture» «Nooh, ma è un disastro!». C’è anche questo scambio di e-mail, intercettati dalla Procura sui computer, tra gli elementi che alla fine hanno convinto il tribunale di Milano che il disastro nei conti della Burani Designer Holding, finanziaria di controllo della nota griffe italiana, fosse ormai irrimediabile, e non restasse che prenderne atto. Così a mezzogiorno di ieri ai tre giudici della sezione fallimentare basta una breve camera di consiglio per emettere la sentenza che - accogliendo le richieste dei pubblici ministeri Luigi Orsi e Mauro Clerici - catapulta l’intero gruppo Burani in un tunnel di cui per ora è arduo intravedere l’uscita.
È la seconda volta in pochi mesi che il tribunale fallimentare si trova ad affrontare la richiesta della Procura di staccare la spina ad un gruppo imprenditoriale in difficoltà. La prima volta a venire candidato al crac era stato Risanamento, il gruppo edilizio fondato da Luigi Zunino: ma lì l’esposizione verso un folto gruppo di banche italiane era così robusta che gli stessi istituti di credito erano scesi in campo per scongiurare la dichiarazione di fallimento, ed alla fine l’avevano spuntata. Invece la holding Burani è pesantemente indebitata, ma ha come principale creditore i tedeschi di Deutsche Bank, che si sono ben guardati dal farsi coinvolgere dai tentativi di salvataggio, ed anzi - presentando all’incasso i propri crediti - hanno avuto un peso decisivo perché si arrivasse alla sentenza di fallimento.
Nelle motivazioni, la stragrande maggioranza delle righe stilate dal giudice Roberto Fontana sono dedicate a spiegare come mai il tribunale di Milano si sia dichiarato - con decisione probabilmente inedita - competente a decidere sulla sorte di una società con sede ad Amsterdam e uffici a Cavriago, in provincia di Reggio Emilia. Spiegazione: in Olanda c’è solo un ufficio di rappresentanza, un commercialista che ritira la posta e tiene qualche libro contabile, e le poche volte che il consiglio d’amministrazione si è riunito in riva all’Amstel i vertici della società partecipavano in videoconferenza dall’Italia. E più esattamente da Milano, dagli uffici di via Verri dove un folto gruppo di impiegati lavorava a tempo pieno alla gestione della Burani holding.
Una volta chiarito questo punto, la dichiarazione di fallimento è arrivata inevitabile: perché la holding ha un mucchio di debiti e non possiede praticamente nulla, essendo il suo principale asset il pacchetto di controllo della Mariella Burani Fashion Group, vale ormai meno di zero, essendo la controllata a sua volta investita da una crisi che ne ha obliterato il capitale. «Impugneremo la sentenza che comunque non ha ad oggetto il fallimento della Mariella Burani Fashion Group», dicono i vertici del gruppo.

Ma da oggi a possedere i pacchetti di controllo non sono più Walter Burani e i suoi familiari ma il curatore fallimentare della holding, il commercialista milanese Diego Moscato. Sarà lui a dover valutare quali attività della maison possano davvero sopravvivere, e quali invece siano inevitabilmente destinate a sprofondare insieme alla holding che le controllava.

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