Gué a caccia di tesori di "Madreperla" per rendere il suo rap un "classico"

Nel nuovo disco il cantante milanese collabora con Mahmood e Rkomi

Gué a caccia di tesori di "Madreperla" per rendere il suo rap un "classico"

«Il disco dei sogni», lo definisce. «Quello che, oggi, mi posso permettere perché l'essere rimasto nel tempo ti dà libertà e privilegi. Perché un rapper bravo è un maratoneta, non un centometrista». Certo il disco dei sogni è quello che, per essere spiegato, va in scena come una vera e propria masterclass alla Triennale di Milano. Un semplice incontro stampa, sembra di intuire, non basterebbe a Gué (colui che fu Gué Pequeno e, ancora prima e sempre per l'anagrafe è Cosimo Fini) per far comprendere che Madreperla, in uscita domani coi suoi dodici brani infarciti di sonorità, citazioni e immancabili featuring (le «collabo», come le chiama lui: con Paky, Anna & Sfera Ebbasta, Massimo Pericolo, Marracash & Rkomi, Mahmood, Benny the Butcher e Napoleone), viene da molto lontano e punta dritto verso il futuro.

Si presenta di bianco vestito, il rapper milanese classe 1980, per condurre una lezione sull'hip hop, estraendo da un simbolico cilindro nomi e ispirazioni, e spiegando(ci) quali sono le qualità e le regole che rendono un brano hip hop tale e, soprattutto, possono far guadagnare ad esso i galloni del classico. «Non basta parlare a tempo per fare rap spiega Gué quindi, per la cronaca, quello di Adriano Celentano con Prisencolin et cetera, del 1973, non è rap, lo è invece Rapper's Delight di Sugarhill Gang del 1979. Questo per dire, comunque, che il rap ha ormai quasi mezzo secolo».

Il prof prosegue: «Per fare un brano rap servono rime iconiche, storytelling vissuto sennò, come dico io, la strada di cui parli è quando guardi Google Maps. Infine serve avere il carisma, per imporre le tendenze e non seguirle. Si omaggia il passato, ma si plasma il futuro». Questo vuol fare Madreperla, con la produzione fondamentale di una vecchia volpe del genere, Bassi Maestro, un monumento in felpa e berretto sin dagli anni '90. La sua mano si sente nei sample prelevati da brani come Mi hai capito o no? di Ron (tratto a sua volta da I Can't Go For That di Hall&Oates) che vengono rivestiti di maestria rap da Gué nell'omonimo brano. Tra le canzoni più intriganti dell'album, sicuramente Prefissi («dai prefissi internazionali citati estraggo immagini in rime legate ai vari Paesi»), Free (sul razzismo, con Marracash e Rkomi) e Lontano dai guai (con Mahmood, «colui che ha davvero alzato l'asticella, dando un respiro diverso al mio disco»).

Il domani che Gué si vede di fronte è nitido: «Mi godo l'essere un king

del mio genere, anche se non rifiuto l'andare in radio e in classifica, ad esempio sono andato in tv con Le Iene, e mi sono divertito. Ecco, di finire alla conduzione del Festival di Sanremo, però, non me ne frega niente».

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