Gubbio, parlano le tre suore "ribelli

Rompono il silenzio le tre suore al centro dell'inchiesta perugina sul convento di Gubbio infestato da maldicenze, guerre intestine, gelosie, accuse di omosessualità, furti di gioielli per un milione di euro. "Vogliamo solo continuare il nostro percorso religioso altrove"

Gubbio, parlano le tre suore "ribelli

Sepolte vive per anni. Contatti vietati con l’esterno. Autorizzate a parlare col Signore e con le consorelle dell’ordine delle clarisse. Improvvisamente, poi, la decisione di uscire dall’oblio per rendere pubblico quel che le alte sfere vaticane volevano tenere religiosamente segreto. E cioè dettagli dell’inchiesta della procura di Perugia sul convento di Gubbio infestato da maldicenze, guerre intestine, gelosie, aggressioni, accuse di omosessualità, furti di gioielli per un milione di euro. Al Giornale parlano le tre suore «ribelli» al centro dell’inchiesta perugina.

Cominciamo dall’inizio. A quando risalgono i primi dissapori interni?
«Non ce ne voglia ma per capire bene l’origine del male occorre partire dalla fine, da quello che è successo ieri (giovedì, ndr)».

E che cosa è successo?
«Dopo le notizie scritte da voi siamo state avvicinate due volte da monsignor Gioia, l’ultima ieri, che su incarico del cardinale Rodè, ci ha detto di abbandonare subito l’avvocato Carlo Taormina “perché non affidabile” (il legale presenterà quest’oggi una denuncia contro monsignor Gioia per violenza privata, ndr) di ritirare le accuse, di non parlare con la stampa, di accettare il trasferimento nel convento di Genzano, ma senza alcuna garanzia che vi saremmo rimaste con la “autorizzazione” necessaria. Ci hanno minacciato di toglierci i voti se non facciamo quello che dicono loro. A una di noi è stato addirittura chiesto di dichiararsi pazza per essere sospesa a tempo salvo poi un reintegro successivo. Una trappola, perché la pazzia per le clarisse è causa di dimissione forzata dall’ordine...»

Sapete a cosa andate incontro?
«Un allontanamento deve essere motivato, e non esistono motivi per mandarci via. Non c’è una prova di quel che dicono, mentre esiste la prova di quel che hanno fatto a noi. In nome di Dio chiediamo solo giustizia. Hanno messo in dubbio la nostra sincera vocazione attestata dalla badessa, hanno pure provato a farci passare per omosessuali ma tutte le consorelle lo hanno smentito. Monsignor Gioia ha anche detto che noi portiamo abusivamente l’abito perché siamo scappate dal convento quando invece ce ne siamo andate con l’autorizzazione ufficiale di madre Daniela, il commissario pontificio mandato da Roma, perché il clima si faceva pericoloso».

Siete pentite d’aver rotto il muro?
«Abbiamo fatto tutto nel silenzio della pace. Poi quando i vertici hanno iniziato ad avallare certe storie inventate e nessuno ci difendeva più, allora abbiamo deciso di fare questo».

Il motivo scatenante di quest’inferno al monastero di Gubbio?
«Tutto nasce con una sorella affetta da grave turbe psichiche e con una serie di gelosie e invidie tra sorelle che scattavano ogni qualvolta veniva una novizia nella comunità. È stato un rincorrersi di episodi gravissimi culminati con cattive dicerie su due di noi finite al nostro funzionario Provinciale. All’inizio le nostre superiore ci difendevano, la madre pace ha scritto i anche al Papa chiedendo un’udienza privata. Poi hanno tutti cambiato opinione, da un giorno all’altro, quando è intervenuto il Vaticano».

Il clima nel convento com’era?
«Non buono. Ci sono stati episodi spiacevoli».

Quali?
«Un giorno madre (...) arriva e ci dice che eravamo state dimesse (e non era vero), noi abbiamo detto che no, avevamo il permesso per uscire dal convento, così ha urlato qualcosa e dopo ha spintonato per ben due volte una di noi, alla madre Chiara, facendola sbattere allo spigolo della porta. E poi altre cose...».

Andiamo al furto dei gioielli. Com’è andata?
«Quando la sorella Alicia Maria arriva al monastero, com’è prassi, va dalla madre badessa e dice che ha questi 85 gioielli e che li consegna al monastero. La madre badessa legge l’inventario dei preziosi, vede i gioielli, e fa presente che nel suo ufficio c’è grandissimo disordine e che non può garantire la custodia perché le sorelle possono entrare e non è la prima volta che sono sparite cose preziose. Così dice a suor Alicia Maria di tenerle lei le pietre. Suor Alicia Maria obbedisce, mette tutto in una scatola che conserva nella cella. Dopodiché vengono consegnati a suor Chiara, maestra delle postulanti e delle novizie».

E quand’è che sparisce il tesoro?
«Quando torniamo in possesso delle scatole dov’erano contenuti i preziosi. L’avevano aperte e richiuse in modo sbagliato, così abbiamo aperto scoperto che avevano sfilato i gioielli».

Ma il cardinal Rodè dice che è tutto falso. Che nessuna suora ha visto i gioielli.
«Ci sono numerose lettere che attestano il contrario, una l’ha addirittura scritta un alto prelato, un’altra la Madre Daniela nella quale attestava che lei teneva quelle scatole fino a quando noi non restituivamo “alcune cose” che, a suo dire, avevamo rubato. Le sorelle invece possono testimoniare sul fatto che Madre Pace andava in giro con un orologio d’oro che faceva parte del materiale prezioso consegnato da suor Milagrosa e mai più tornato indietro. Comunque, ha tutto il magistrato».

Il vescovo di Gubbio come si è comportato con voi?
«Malissimo. Ha detto che nessuno ci doveva ospitare e in una lettera alla Madre Pace ha manifestato tutte le sue “perplessità” sul nostro comportamento. La Madre Pace inizialmente ci ha difeso dicendo che non c’erano prove, allora il vescovo ha detto imperioso: “Se non dimetti le novizie lo faccio io, e so come farlo”...».

Cosa chiedete oggi?
«Solo di poter continuare in un altro luogo il nostro percorso religioso. È impossibile vivere nel monastero di Gubbio dove c’è l’adorazione del Santissimo. Lì non c’è la vera Chiesa».

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