La "guerra" dei viaggi d’estate

Il fronte sanguinoso e cruento delle vacanze all'estero ci rimanda in patria un'altra giovane vittima. Partono per provare certe emozioni, tornano cadaveri. Come in guerra. La storia, più o meno, sempre la stessa. Improvvisamente ci avvertono che uno dei nostri ragazzi non manda più notizie a casa. All'inizio nessuno si preoccupa moltissimo: in tanti, là dove è divertimento allo stato brado, si avventurano nella nebbia per un paio di giorni, riemergendo puntualmente come se niente fosse. Le stesse autorità locali, ormai, hanno rinunciato a cercare tutti quelli che al mattino non rientrano nella propria stanza d'albergo. Per preoccuparsi, bisogna aspettare almeno una settimana. Tempi tecnici dell'angoscia. Poi, nel frastuono caotico delle spiagge e dei locali notturni, si apre finalmente la liturgia pigra e spannometrica delle ricerche: alle nove è uscita dall'albergo, alle dieci ha bevuto al pub, all'una è entrata in disco. L'ultimo che l'ha vista, l'ultimo che ci ha parlato. E gli amici? È tutto così strano: a un certo punto un loro compagno di viaggio sparisce, ma se ne accorgono sempre la mattina dopo.

Questo per dire che il rituale della notte si snoda in un'atmosfera oscura, ambigua, ossessiva. Nessuno chiede niente a nessuno. Tutti liberi di e tutti liberi da. Eventualmente se ne riparla il giorno dopo, al risveglio, quand'è già pomeriggio. Un po' rintronati, ma felici. Pare. Anche la storia di Federica: è come se la conoscessimo a memoria. Come se purtroppo conoscessimo pure il finale. Anche lei partita con le amiche dal paese di estrema provincia, dove tutti la ricordano brava ragazza, alla ricerca di una vacanza diversa. Anche lei poi inghiottita dalla notte frenetica e psichedelica, alcolica e fumosa, narcotica e allucinogena dei paradisi post-riminesi. L'ultimo drink al pub, le ultime parole con le amiche («ci stiamo divertendo troppo»), l'ultimo che l'ha vista. Il cameriere ciccione e mandrillo, il tedesco faccia d'angelo, poi non so come ci siamo perse di vista… Penosa contraddizione: la Betancourt sopravvive a sei anni di foresta, in mezzo ai guerriglieri colombiani, Federica non sopravvive a poche ore di vacanza balneare, tra bamboccioni avvinazzati e allupati.

Il fenomeno si chiamerebbe, vorrebbe chiamarsi ancora, trasgressione. Ma lo era qualche epoca fa. Ormai è talmente comune, talmente diffuso, talmente banale, da non trasgredire più niente. Il vero trasgressore adesso è il ragazzo che decida di andarsi a fare un bel giro per i vecchi campi di concentramento nazisti. Questa la richiesta che davvero manda in crisi i genitori, oggi, portandoli a chiedersi le cose più angoscianti: dove avrò sbagliato, con questo benedetto figlio? Davanti alla povera salma di Federica, anch'essa orrendamente profanata e frettolosamente nascosta, non è però il caso di fare pollaio. Di chiacchierare a vuoto. C'è posto solo per una preghiera e per un poco di pietà. Soprattutto, nessuno dovrebbe permettersi di cullare l'idea, anche soltanto nel segreto della propria saccenteria, che in fondo se la sia cercata. E che tutti i ragazzi d'oggi, quando partono per la sballosa vacanza all'estero, o per il sabato sera a Desenzano del Garda, se la vadano a cercare.

Domanda: vogliamo per caso dire che se un ragazzo beve o si spinella va subito condannato a morte, con immediata esecuzione sul posto? Davvero adesso ha così importanza sapere se Federica, quella sera, abbia ballato sui tavoli? Cosa sarebbe, un'attenuante per l'assassino? O magari un aiuto per noi, in grado di attenuare l'ansia? Cerchiamo di risparmiare tutto questo, a Federica. E comunque: se la tentazione avanza, faremmo bene a non dimenticare mai che i ragazzi di oggi seguono i ritmi, i luoghi, i modelli dei loro tempi, cioè dei tempi preparati e costruiti da noialtri, loro genitori, sublime generazione precedente. Certo adesso è difficile, per noi, accettare tanti eccessi. Nel mirino c'è questo genere di estate, di vacanza, di evasione, di tempo libero, che i nostri figli sognano. La nostra fuga, la nostra trasgressione, il nostro limite si spingevano al massimo fino a un campeggio calabrese, in cinque dentro una 112 Abarth.

Ad anni di distanza, è inquietante scoprire come non basti più tirare tardi cantando Baglioni e Battisti, davanti a un falò, in riva al mare, sotto le stelle, sognando il piccolo grande amore, ma come ora la sera sia tanto bere, tanto fumare, tanto di tutto, e chi va a letto prima delle nove di mattina è solo un povero impedito. Dobbiamo farcene una ragione: può darci qualche fastidio, può procurarci qualche difficoltà di comprensione, ma questa è la giovinezza di oggi. D'altronde, non possiamo parlare sempre di soldi, di veline e di calciatori, sperando poi che loro ad agosto ci chiedano di andare in visita agli Uffizi, o in meditazione sul Tibet. Per un gruppo di strambi che ancora si ostina a visitare Auschwitz e Dachau con il curato, e che magari canta ancora il piccolo grande amore in pullman, c'è la moltitudine dei devoti che aspetta solo il sabato sera, o le vacanze d'estate, per varcare le nostre frontiere, ma soprattutto i nostri limiti, lungo gli itinerari del proibito. La sensazione è che ormai non possiamo più fare molto. Non possiamo richiudere le frontiere, non possiamo ristabilire i vecchi limiti.

Tutto quello che ci resta da fare, mentre li portiamo all'aeroporto, è rivolgere loro un'accorata preghiera, benché un po' vana e temeraria, benché vagamente patetica: amore mio, vita mia, cerca almeno d'essere prudente.

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