È guerra tra Napolitano e «Repubblica»

Massimo Giannini, ancorché giovane e brillante vicedirettore di Repubblica, da tempo riscuote nell’ambiente giornalistico una discreta fama. Di non azzeccarne una.
Per sua stessa modesta ammissione indegno vicedirettore di un grande Direttore, Ezio Mauro, a sua volta indegnamente succeduto a un grande Fondatore, Eugenio Scalfari, il modesto Giannini da quando è in carica ha già scritto: che Smirne è in Grecia, parlando della gara per l’assegnazione dell’Expo tra Milano e la città turca; che l’imperatore che nominò senatore il suo cavallo è Catilina, paragonando Berlusconi al dissoluto Caligola; che l’autore de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde è Edgar Allan Poe, consigliando ai lettori il capolavoro di Robert Louis Stevenson; che tra i padri della Destra c’è un tale Martinelli, pensando futuristicamente a Marinetti. E dire che se la prendeva con la Destra ignorante...
Comunque. Ieri ha firmato un curioso editoriale - un pezzo apocalittico dal titolo «Il cinismo assoluto» - nel quale attacca pesantemente Berlusconi rinfacciandogli di aver varcato l’ennesimo confine. E non si capisce se della legalità, della moralità o di che altro. In sostanza Giannini accusa il premier di aver strumentalizzato, interpretandole a proprio vantaggio, le dichiarazioni del presidente Napolitano sulla posizione del Csm in merito all’inchiesta di Trani. Dopo che martedì erano arrivati in procura gli ispettori del ministero inviati da Alfano per far luce sulla “legittimità” dell’indagine, e dopo l’intervento del Csm a soccorso della procura pugliese contro gli ispettori, il capo dello Stato aveva invitato a «evitare scontri tra le istituzioni», ricordando al Csm che non può «pronunciarsi preventivamente» sullo scioglimento delle inchieste amministrative del ministero. Di fatto il messaggio di Napolitano tendeva a smussare le contrapposizioni, ma fissava paletti molto precisi all’iniziativa del Csm, costretto in qualche modo a rientrare, seppure di malavoglia, entro i limiti della Costituzione. Ed è questo che ha rilevato, in una legittima dichiarazione, Silvio Berlusconi.
Eppure Giannini - che firma un editoriale, non un divertissement - imputa al premier di aver piegato a suo uso e consumo le parole del capo dello Stato: «Altro che tirare la giacchetta al presidente della Repubblica: Berlusconi gli ha letteralmente strappato di dosso l’abito di “garante sopra le parti” che la Costituzione gli assegna», scrive impietoso Giannini, strumentalizzando - qui sì - sia il messaggio di Napolitano sia le dichiarazioni del premier. Al quale, en passant, addebita di aver precipitato il Paese in «un simile abisso di irresponsabilità e di cinismo»... addirittura.
Proprio lui. Proprio Massimo Giannini. Il quale, en passant, due giorni fa è stato sonoramente smentito con una nota ufficiale dallo stesso presidente della Repubblica (un caso pressoché unico a memoria di giornalista) dopo il suo articolo «retroscenato» che attribuiva a Napolitano la volontà di non firmare il decreto sull’articolo 18. «È priva di fondamento l’indiscrezione di stampa secondo la quale il presidente della Repubblica avrebbe già assunto un orientamento a proposito della promulgazione del disegno di legge 1167-B approvato dal Parlamento», ha fatto sapere il Quirinale, respingendo «ogni condizionamento che si tenda a esercitare nei suoi confronti anche attraverso scoop giornalistici». Fuori dal doveroso linguaggio istituzionale, Napolitano ha detto a Repubblica e al suo vicedirettore Giannini: «Smettetela di tirarmi per la giacca e non ditemi cosa devo fare inventandovi scenari fantasiosi, grazie».
Grazie a Lei, presidente. A proposito di smentite. Ieri l’ennesima. Repubblica ha scritto che Napolitano avrebbe interrotto la cena durante il suo viaggio di Stato in Siria quando ha saputo dei commenti di Berlusconi sulla vicenda di Trani. «Un giornale ha scritto che mi sarei alzato, allarmato, da tavola per le dichiarazioni fatte in Italia. Io mi sono alzato quando ho finito di cenare», si è premurato di far sapere a Repubblica Napolitano. Che, tradotto, significa: «Lasciatemi in pace e imparate a stare a tavola, maleducati».
E male informati, anche.

Già alcuni giorni fa, prima ancora che scoppiasse tutta la canea, il Quirinale aveva gentilmente invitato Repubblica a moderare la dose di spericolatezza nella ricostruzione delle (supposte) posizioni del presidente Napolitano sui temi della giustizia. Notoriamente molto scivolosi.
Come le gaffe sulle quali, ogni tanto, incappa il quotidiano di Ezio Mauro. E più spesso il suo vicedirettore. Che a volte si rivela o uno sprovveduto, o di un «cinismo assoluto».

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