La guerra dentro al Pd Non vogliono Renzi solo perché è più bravo

Per i democratici il sindaco di Firenze sarebbe l’uomo giusto, eppure lo insultano. A loro interessa solo fare fuori il Cav

La guerra dentro al Pd Non vogliono Renzi solo perché è più bravo

L’uomo del giorno è Matteo Renzi, sinda­co di Firenze. Domina su tutti i giorna­li, compare spesso in televisione, divi­de l’opinione pubblica, suscita in mol­ti grande ammirazione e disprezzo in alcuni, special­mente i signori burocrati degli apparati del Pd. Ma chi è costui? Tranquillizzo subito i lettori: non mi oc­cuperò della sua biografia, un genere che lascio agli specialisti. Mi limito a osservare che mai nessuno, prima di lui, aveva osato mettersi di traverso rispetto alle linee dettate dalla nomenklatura di sinistra.
Cosa fosse il Pci è noto anche a chi non ne ha assag­giato i metodi per motivi di età. Per cui sorvolo. Cosa sia diventato negli anni è lì da vedere. Ha perso solidi­tà, fascino, efficienza organizzativa, capacità di sug­gestionare i giovani. In pratica ha perso i pregi, ma gli sono rimasti i difetti: è settario, diffida della moderni­tà, guarda indietro anziché avanti, è talmente suppo­nente da essere persuaso di avere il monopolio della cultura; è convinto che i suoi elettori e iscritti siano antropologicamente diversi e di moralità superiore; e che se un intellettuale non è un compagno non è neppure un intellettuale.

Un partito così a gioco lungo è destinato a morire per autoconsunzione.Oggi c’è molta gente che lo vo­ta ancora memore dei passati trionfi alle urne. Ma quando si accorgerà - molto presto - che il Pd non è stato all’altezza di sostituire la defunta ideologia al­meno con un’idea, lo abbandonerà, ammesso trovi un’alternativa di cui al momento non si vede traccia. Oddio,un’alternativa ci sarebbe,ed è proprio Renzi, ma i capoccia sedicenti democratici lo rifiutano: già, lo odiano. Lo odiano perché egli incarna il nuovo, e il nuovo li terrorizza, li disorienta, toglie loro ogni sicu­rezza, sono impreparati ad affrontarlo, forse anche soltanto a comprenderlo.
Si dà il caso che il Pd sia fortemente conservatore e incline a barricarsi nel politicamente corretto e che spari con­tro chiunque rompa gli schemi obsoleti sui quali si basano ancora gli eredi del comunismo. Lo Statuto dei lavoratori, che pure è un obbrobrio solo italiano, guai a chi lo tocca. Le pensioni di anzia­nità? Sono sacre. Equiparare uomini e donne sull’età della quiescenza? Non se ne parla nemmeno. Liberalizzare le attività professionali? Figuriamoci. Cambiare modello di sviluppo? Roba
da matti.Siamo all’adorazione dello sta­tu quo. Modificare la Costituzione? Un delitto.

Matteo Renzi è piombato come un me­­teorite fra i piedi di Pier Luigi Bersani ed epigoni vari e ha provocato uno scon­quasso nel cimitero del riformismo ne­gato. Sulle prime lo hanno giudicato un eretico, una simpatica canaglia, un feno­meno folcloristico, una nota di colore nel grigiore del partito.

Poi è montata la diffidenza che si è in fretta trasformata in aperta ostilità. Ren­zi sarà un nemico, forse lo è già. Lo si in­tuisce dall’articolo di Concita De Grego­rio (ex direttore dell’ Unità ) pubblicato ieri sulla Repubblica . Titolo: «Il populi­sta di centro».
Populista, nel linguaggio della suppo­sta sinistra (finta), è un termine peggio­rativo di qualunquista e ha perfino pre­so il posto di fascista da quando Gian­franco Fini è un paladino dei progressi­sti. Populista suona come una condan­na senza appello, una scomunica cui se­guirà il rogo. Chi usa questo vocabolo attribuendogli una semantica arbitraria ignora che i populisti furono antesigna­ni dei comunisti. Vabbé. Quisquilie.

Gli intellettuali non badano a simili sottigliezze. Bollato di populismo, Ren­zi dovrà combattere per sopravvivere nel caravanserraglio dell’attuale oppo­sizione. È stato bocciato perché, in que­sta sinistra conservatrice e tetragona a qualsiasi tipo di evoluzione, egli è l’uni­co davvero di sinistra, l’unico progressi­sta autentico, l’unico insofferente ai luo­ghi comuni, ai tic e agli stereotipi che co­stituiscono l’impalcatura vetusta del Partito democratico. È paradossale so­lo in apparenza: il sindaco di Firenze, giovane e sgamato, spregiudicato in quanto privo di pregiudizi, spavaldo e astuto, è respinto da chi comanda nella sua area politica per una sola ragione: se arriva lui al vertice, i dinosauri non hanno un futuro e neppure un presente. Il rischio che vinca mette in moto nel Pd un meccanismo di autodifesa che non esclude nulla, nemmeno lo sputta­namento del ragazzaccio impertinente che ha scaricato nell’Arno la zavorra dei compagni d’antan.

Al quale ragazzaccio l’apparato ros­siccio si oppone sbandierando un anti­berlusconismo salvifico gabellato per programma. Far fuori il Cavaliere: co­me se fosse sufficiente a garantire al Pd e al Paese lunga vita e prosperità. Poveri illusi.

Renzi sarebbe per i democratici l’uomo giusto allo scopo di sparigliare, ma loro si fanno in quattro per annegar­lo negli insulti.

D’altronde, se fossero intelligenti non sarebbero lì a pettinare le bambole agli ordini di Bersani.

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