È la resa dei conti. È la notte dei lunghi coltelli. Non è più guerra civile, è guerra totale. Guerra per gli ospedali dove si trucidano gli avversari feriti. Guerra per le caserme di Fatah circondate e assediate. Guerra per il controllo politico e militare dell’intera Striscia di Gaza.
Hamas ora vuole tutto e subito. Vuole imporre la propria superiorità militare, buttare fuori Fatah e i suoi capi. Da Mohammed Dahlan, consigliere e uomo forte della presidenza, a Mahmoud Abbas, il presidente «inetto e traditore». Una brutta, bruttissima piega che rischia di trascinare Israele in una guerra di confine permanente. Non a caso a Gerusalemme il premier Ehud Olmert rompe un tabù e in un colloquio con il ministro degli Esteri olandese Maxime Verhagen parla apertamente della necessità di dispiegare una forza internazionale lungo il confine tra Gaza e l’Egitto. «Se la Striscia cade nelle mani di Hamas ci saranno implicazioni per tutta la regione, non possiamo entrare a Gaza per combattere la battaglia tra forze pragmatiste e quelle estremiste».
Nel «redde rationem» di Gaza è difficile, in verità, dire chi siano gli estremisti. Dopo una notte di sangue costata 17 morti, gli uomini di Fatah attaccano a colpi di missili anticarro la casa del primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh. Premier e familiari escono illesi, ma la ferita è aperta, e qualche ora dopo i mortai fondamentalisti colpiscono il palazzo presidenziale di Gaza. Del resto la guerra delle parole è, se possibile, ancor più esplicita di quella combattuta. Nei proclami fondamentalisti i palestinesi di Fatah diventano i traditori, i venduti, i servi degli israeliani. E dove finisce il rispetto si consuma la pietà, inizia l’orrore. Lo raccontano i bilanci di sangue con quei 20 e passa cadaveri raccolti da lunedì a ieri sera. Non caduti in combattimento, ma vittime di agguati ed esecuzioni sommarie.
Il nome eccellente è Jamal Abud al Jediyan, uomo di fiducia di Mohammed Dahlan nel nord della Striscia. Quelli delle Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, lo vanno a prendere a casa, lo mettono al muro, lo fanno a brandelli scaricandogli addosso due caricatori di kalashnikov. Sul corpo devastato i medici contano 45 fori d’entrata e d’uscita. È l’inizio dell’offensiva per il nord della Striscia. La battaglia scatta a metà mattina subito dopo l’attacco dei miliziani delle Brigate Martiri di Al Aqsa, fazione armata di Fatah all’abitazione di Haniyeh. Quelli di Ezzedin Al Qassam dichiarano la fascia settentrionale della Striscia zona militare chiusa, circondano con duecento uomini il comando della «Sicurezza preventiva» . Là dentro cinquecento militanti di Fatah si ritrovano imbottigliati, colti di sorpresa. «Ci attaccano da tutte le parti», grida al telefono il comandante Khaled Awad mentre i colpi di missili anticarro squassano l’edificio.
Nel sud i guerriglieri fondamentalisti conquistano tre avamposti, ma le forze della Sicurezza preventiva difendono il quartier generale. Intanto il loro comandante impreca contro il presidente Mahmoud Abbas e tutta la dirigenza. «Hamas attacca da tutte le parti e noi non abbiamo ordini, siamo vittime della loro debolezza». A reagire ci pensa il comando delle Forze di sicurezza nazionale con un comunicato - ispirato alle parole del presidente Abbas - che accusa Hamas di star tentando un «sanguinoso colpo di Stato» e invita tutti i fedeli di Fatah a difendere la dignità, l’onore militare e la sicurezza della propria gente. Poi la sede di Al Aqsa Tv, l’emittente televisiva di Hamas nella Striscia, viene circondata. Ma la controffensiva non ha grande successo. Dopo un’ora di scontri l’emittente riprende a trasmettere e un commentatore entusiasta inneggia alla «stella di Al Aqsa che splende ancora» .
Il vero rischio ora è che la guerra per l’egemonia tracimi da Gaza ai territori della Cisgiordania. Lì Hamas è in minoranza.
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