Donald Trump continua a lanciare messaggi contraddittori sul Venezuela. Mentre nelle acque caraibiche la US Navy sta ammassando un dispositivo militare formidabile, con la portaerei nucleare Gerald Ford e il relativo gruppo d'attacco, una decina di altre navi da guerra e il sottomarino nucleare Newport News, il presidente torna ad escludere un'azione imminente. «Ne dubito. Non credo», ha detto in un'intervista al programma 60 Minutes della Cbs, lo stesso al quale aveva fatto causa per un'intervista «manipolata» a Kamala Harris, ottenendo 16 milioni di dollari nel patteggiamento con la società madre Paramount.
Eppure, nella stessa intervista Trump ha risposto «direi di sì», alla domanda se i giorni di Nicolas Maduro siano ormai contati. E di nuovo, sulla possibilità di un attacco diretto al Venezuela, dopo i ripetuti bombardamenti mirati contro le imbarcazioni di presunti narcotrafficanti, il presidente non si è sbottonato: «Non vado a dire ai giornalisti se attaccherò o meno». Segnali contraddittori, appunto, dopo che nei giorni scorsi il Wall Street Journal aveva rivelato che i piani per colpire una serie di obiettivi militari all'interno del territorio venezuelano sono già stati tracciati e che lo scopo ultimo di un'eventuale attacco sarebbe proprio la rimozione di Maduro, che a sua volta ha lanciato un appello a Russia, Cina e Iran per fare fronte comune contro «l'escalation americana». L'obiettivo del cambio di regime sembra in apparente contraddizione con la dottrina trumpiana dell'«America First» e il non coinvolgimento in guerre lontane. Ma se nei giorni scorsi la direttrice della National Intelligence Usa, Tulsi Gabbard, intervenendo ad una conferenza in Bahrein aveva assicurato che dopo i disastri in Irak e Afghanistan «la politica americana del regime change e nation building non esiste più», è anche vero che uno degli obiettivi dichiarati della politica estera trumpiana, soprattutto in chiave anti cinese, è la supremazia nel Continente Americano, quell'Emisfero Occidentale già invocato due secoli fa nella Dottrina Monroe.
Meno leggibile, nell'immediato, è l'altro fronte di antagonismo militare aperto da Trump: la ripresa dei test nucleari, fermi dal 1992, annunciata poco prima del faccia a faccia della scorsa settimana con Xi Jinping. «Russia e Cina fanno i test, ma non lo dicono», ha affermato il tycoon nella stessa intervista, lamentando che «abbiamo più armi nucleari di qualsiasi altro Paese», ma «siamo l'unico Paese che non effettua test, e non voglio essere l'unico». In realtà, l'unico Paese che ha effettuato test negli ultimi decenni è la Corea del Nord, per quanto Cina e Russia non abbiano risparmiato quelli sui vettori per eventuali testate. È stato tuttavia il segretario all'Energia Chris Wright, dopo le dichiarazioni di Trump, a chiarire a Fox News che quelli americani saranno «test di sistema» e «non saranno esplosioni nucleari».
L'ultimo fronte di guerra evocato da Trump, in ordine di tempo, è quello contro la Nigeria, il cui governo à accusato dal presidente di consentire le uccisioni di cristiani da parte delle bande islamiste. «Con la presente do istruzioni al nostro Dipartimento della Guerra di prepararsi a un'eventuale azione.
Se attaccheremo, sarà rapido e violento, proprio come i terroristi attaccano i nostri amati cristiani!», ha scritto sabato in un post su Truth, aprendo alla possibilità di un'azione boots on the ground. «È possibile», ha detto parlando con i giornalisti sull'Air Force One.